Con la vittoria per 1-0 sul Liaoning, il Guangzhou Evergrande di Marcello Lippi ha vinto con un turno di anticipo la Chinese Super League. Per il tecnico di Viareggio, campione del mondo con l’Italia nel 2006, è il primo titolo conquistato all’estero. Per la Cina, il primo campionato vinto da un allenatore italiano. Per l’Italia, l’ennesima dimostrazione che gli allenatori che espatriano sono l’ultima ancora di salvezza per il Made in Italy calcistico, ultimamente noto oltreconfine solo per la cronaca giudiziaria. L’avventura di Lippi, secondo tecnico su una panchina cinese dopo che Giuseppe Materazzi nel 2003 guidò il Tianjin Teda, può essere considerata una via di mezzo tra i trionfi dei soli noti alla guida delle grandi compagini europee e i successi di tecnici italiani non di primo livello, o non più di primo pelo, che riescono a vincere in lontani paesi esotici.
Come Capello a Madrid, Ancelotti e Di Matteo a Londra, Mancini a Manchester o Spalletti a San Pietroburgo, Lippi ha guidato infatti una corazzata costruita per vincere. Retrocessa nel 2009 per lo scandalo scommesse, nel 2010 la squadra di Canton è stata comprata dall’Evergrande Real Estate: un conglomerato finanziario gestito dall’oligarca Xu Jaiyin e che ha un patrimonio di quasi 5 miliardi di dollari. E dopo aver infarcito la squadra di stelle e vinto il titolo nel 2011, a maggio di quest’anno l’Evergrande ha offerto 30 milioni di euro per 30 mesi a Lippi e al suo staff (Pezzotti, Rampulla, Gaudino e Maddaloni) non tanto per bissare il titolo quanto per la Champions asiatica. Ecco perché la stampa cinese, dopo l’eliminazione nei quarti di Champions, aveva definito la panchina di Lippi traballante. Il titolo appena conquistato vale invece la riconferma, e iscrive il suo nome tra quello degli emigranti di successo.
Il capostipite è il piacentino Astorri, che nei primi anni Sessanta si trasferisce a Copenaghen e pubblica su un quotidiano locale un annuncio in cui si offre come allenatore. Riuscirà a vincere il titolo danese nel ’67 alla guida del Akademisk e nel ’74 con il Kjøbenhavns. Bisogna poi aspettare gli anni Novanta perché, sulla scia del Trap (vittorioso a Monaco, Lisbona e Salisburgo) e di Capello (Madrid), tecnici di successo in patria decidano di misurarsi e vincere all’estero: Bigon a Sion, Scala a Dortmund e Donetsk, Ranieri a Valencia, e Vialli che si inventa allenatore-giocatore di successo col Chelsea. Ma è negli anni Zero del nuovo millennio che l’Italia decide di abbattere le frontiere del calcio. Oltre ai soliti noti, le destinazioni preferite della nouvelle vague dei tecnici italiani sono est Europa e Africa. In Romania vincono il campionato Zenga (Steaua) e Mandorlini (Cluji), e coppe nazionali Bergodi (Rapid) e Bonetti (Dinamo). E mentre Zenga è campione anche in Serbia con la Stella Rossa, Bencivenga trionfa in Albania col KLF Tirana.
Il primo a vincere un campionato fuori dall’Europa è invece Bersellini, che nel 2002 regala il decimo scudetto all’Al-Ittihad di Tripoli: la squadra di famiglia del Muammar Gheddafi, nelle cui fila quell’anno militava anche il terzo figlio Saadi, quello che (non) giocò anche a Perugia e Udine. In Africa vincono anche Cusin, sempre all’Al Ittihad; Fabbro, allenatore federale che lascia i Giovanissimi della nazionale per il Mouloudia Club di Algeri; Pileggi, in Etiopia con il Saint-George SA di Addis Abeba; e Nobile, pluricampione in Costa d’Avorio con l’Africa Sports National di Abidjan. E se a livello di club, con i quasi diecimila chilometri che separano Viareggio da Guangzhou, quello che ha vinto più distante da casa è sicuramente Lippi, primo a vincere in Asia. Il record assoluto è però di Zaccheroni, che nel 2011 è il primo italiano a conquistare un trofeo alla guida di una nazionale straniera, vincendo la Coppa d’Asia con il Giappone. Più lontano di così, per adesso, non si è spinto nessuno.