Poi sono saltate fuori le telefonate, anzi la telefonata. Quella in cui il capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, spiega al professor Boschi “la verità non la diciamo”: “Alla fine fate un comunicato stampa con le solite cose che potete dire su questo argomento delle possibili repliche e non si parla della vera ragione della riunione”. È il 9 aprile 2009, tre giorni prima il terremoto aveva distrutto la città e fatto 308 morti.
Mentre infuria l’ennesima polemica su L’Aquila, a Genova prosegue l’inchiesta sulla gestione dell’alluvione che un anno fa causò la morte di sei persone. Se ne occupa sul Corriere della Sera Marco Imarisio: “Ci deve essere una spiegazione per lo scarto tra il dolore dei soccorritori, la commozione generale e il comportamento cinico della catena di comando di chi doveva gestire quell’emergenza”. Ma non si trova. Perché dall’indagine emergono particolari sempre più tremendi. Una relazione falsa confezionata dalla Protezione civile locale che retrodata di un’ora l’esondazione, per accreditare la versione della bomba d’acqua contro cui nulla si poteva. Poi la polizia municipale che rifila agli investigatori un file audio “sbagliato”: due vigili avevano testimoniato di aver telefonato dando l’allarme quasi un’ora prima dell’esondazione. Ma quell’allarme si era perso in una catena di comando pachidermica e farraginosa: per coprire il tutto si confezionano documenti. Poi l’ex assessore alla Protezione civile, Francesco Scidone, indagato perché secondo gli inquirenti sapeva già dal mattino che sul torrente poi esondato non c’erano stati controlli. È lui che chiede al coordinatore dei volontari Roberto Gabutti, indagato per favoreggiamento, di andare a Porta a Porta per raccontare la concitazione del “è successo tutto in fretta”. La Protezione civile si protegge benissimo.
Oltre al rimpianto, al dolore, alla rassegnazione c’è lo sgomento del dopo: il tempo in cui tutti cercano di sviare da sé i sospetti poiché dei ruoli pubblici si è disposti a prendersi gli onori e mai le responsabilità. Commentando la sentenza contro la commissione Grandi Rischi, Giustino Parisse (giornalista del Centro che ha perso i suoi due figli nel sisma) ha dichiarato: “Sono io la causa prima della morte di Domenico e Maria Paola e non me lo perdonerò mai. Tra le tante colpe che ho c’è anche quella di essermi fidato della Grandi Rischi credendo a una scienza che in quella riunione del 31 marzo rinunciò a essere tale”. L’umiltà del dolore resta l’unico antidoto contro la viltà.
Il Fatto Quotidiano, 28 Ottobre 2012