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Science e il terremoto a L’Aquila

terremoto l'aquila

 

 

 

Alla luce della sentenza di primo grado del processo dell’Aquila, Italia Dall’Estero propone la traduzione un articolo apparso su “Science” il 12 ottobre 2012.

Testata: Science
Data di pubblicazione: 12 ottobre 2012
Traduzione di Loredana Spadola, Margherita Beltrame e Noemi Alemanni per italiadallestero.info
Articolo originale di Edwin Cartlidge 

Scossa di assestamento in tribunale

Un giudice italiano deciderà presto se 30 persone morirono perché 7 esperti sottovalutarono il rischio di un forte terremoto a L’Aquila nel 2009.

L’Aquila – “Stai calma. Ci vediamo domani”. Queste sono state le ultime parole che Linda Giugno ha sentito da suo fratello Luigi, all’1 di mattina del 6 aprile 2009. Entrambi vivevano nella cittadina de L’Aquila, nel centro Italia, e Linda aveva telefonato a Luigi, una guardia forestale, perché era terrorizzata dall’ultima di una lunga serie di tremori di piccola e media intensità che avevano scosso la città nei 3 mesi precedenti. Luigi disse che secondo lui non c’era alcun pericolo e che non gli sembrava necessario svegliare sua moglie, che avrebbe dovuto partorire quello stesso giorno, e il loro figlio di 2 anni.

Poco più di 2 ore dopo, alle 3.32, L’Aquila fu colpita da un terremoto di magnitudo 6.3. Luigi, suo figlio e sua moglie con la bimba che portava in grembo morirono seppelliti nel crollo del palazzo settecentesco in cui vivevano, quattro delle oltre 300 vittime. Linda Giugno ha raccontato la sua terribile storia dal palchetto dei testimoni in un tribunale silenzioso e affollato nell’ottobre del 2011, una delle prime di molte commoventi testimonianze in un controverso processo di omicidio colposo che ha appassionato L’Aquila e molti scienziati di tutto il mondo.

Sul banco degli accusati ci sono sette uomini: quattro scienziati, due ingegneri e un funzionario statale. Essi parteciparono alla riunione del pannello di esperti del Dipartimento di Protezione Civile (DPC) italiano noto come la “Commissione Nazionale per la Previsione e la Prevenzione dei Grandi Rischi”, che si riunì il 31 marzo 2009 a L’Aquila per valutare le continue scosse di terremoto.

Dopo la fine della riunione, due membri del gruppo tennero una conferenza stampa accompagnati da funzionari locali. In quell’occasione, secondo l’accusa, diedero agli abitanti di L’Aquila l’impressione erronea che non avrebbero avuto nulla da temere. Di conseguenza, alcune persone che altrimenti avrebbero abbandonato le loro case durante le successive scosse, vi restarono, e morirono il 6 aprile. In effetti, quando il Pubblico Ministero ha chiesto a Linda Giugno perché suo fratello avesse escluso con sicurezza la possibilità di un terremoto catastrofico, la sua risposta è stata chiara: “Gli esperti citati durante i servizi in TV avevano detto che non ci sarebbero state scosse più forti di quelle già in corso.”

Il processo a L’Aquila ha riscosso una grande attenzione internazionale, ma anche indignazione e proteste. Nel 2010 più di 4000 scienziati italiani e internazionali firmarono una lettera aperta indirizzata al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, definendo le accuse “infondate” perché non era assolutamente possibile per la commissione predire accuratamente un terremoto. Alan Leshner, amministratore delegato di AAAS (l’editore di Science) giudicò le accuse “ingiuste e ingenue” in una lettera a Napolitano del 2010.

Eppure durante lo svolgimento del processo nell’ultimo anno, è emerso un quadro più complesso. I Pubblici Ministeri non hanno accusato i membri della commissione di non aver predetto il terremoto, ma di aver effettuato una rapida e superficiale valutazione dei rischi, presentando al pubblico dei risultati incompleti ed erroneamente rassicuranti. I Pm hanno sostenuto in tribunale che le molte scosse avvertite a L’Aquila nei mesi precedenti davano quantomeno un’idea di un aumentato rischio.

Nel frattempo, una conversazione telefonica registrata e resa pubblica durante il processo ha suggerito che la commissione si era riunita con lo scopo preciso di rassicurare il pubblico. Questo ha sollevato il dubbio sul fatto gli scienziati fossero stati usati, o abbiano permesso di farsi usare, per calmare una città in agitazione.

Il processo adesso volge al termine. Più di 100 testimoni sono stati ascoltati, inclusi geofisici, ingegneri, funzionari statali, psicologi, un antropologo ed anche molti amici e parenti delle vittime. Il 24 e il 25 settembre scorso, l’accusa ha presentato le sue motivazioni conclusive in arringhe per un totale di 13 ore e ha chiesto 4 anni di prigione per ognuno dei sette deputati. Questa settimana gli avvocati difensori dovevano presentare il loro discorso conclusivo. E alla fine sarà il giudice 43enne Marco Billi a decidere da solo; il suo verdetto è previsto per il 23 ottobre [N.d.T., il processo è terminato il 22 ottobre con la condanna in primo grado a 6 anni per tutti gli imputati].

Tesi e nervosi
L’Aquila, il capoluogo dell’Abruzzo, si trova in una delle regioni italiane più attive dal punto di vista sismico. In pratica è costruita in cima a una faglia che fa parte di un sistema più grande che segue la catena dei monti Appennini per gran parte della lunghezza del Paese. La città fu colpita da gravi terremoti nel 1349, 1461 e 1703: quest’ultimo fu il più letale, con circa 2500 vittime. Nel 1985 e nel 1995 L’Aquila avvertì i cosiddetti sciami sismici, un numero elevato di scosse di piccola intensità che si susseguirono per molte settimane. Le scosse causarono nervosismo, ma non accadde nulla di grave.

Un altro sciame sismico si verificò nei primi mesi del 2009, con scosse che diventarono gradualmente più frequenti e più intense. Queste resero la popolazione della città sempre più tesa e nervosa, secondo il geologo Antonio Moretti dell’Università dell’Aquila. La tensione, dice, fu aggravata dalle previsioni di Gioacchino Giuliani, un tecnico dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare che si trova vicino a L’Aquila. Giuliani dice di poter prevedere i terremoti misurando l’aumento delle emissioni di gas radon dalla terra, una teoria che è stata studiata per decenni, ma che è stata rifiutata dalla maggior parte dei sismologi. Sembra che Giuliani predisse che il 29 marzo ci sarebbe stato un forte terremoto nella città di Sulmona, a un’ora di macchina a sud-est dell’Aquila. Questa previsione provocò il panico, ma era sbagliata. Il 31 marzo Giuliani fu denunciato alla polizia per aver procurato un allarme ingiustificato, portandolo a non esprimersi più pubblicamente sui terremoti.

Sullo sfondo di questi eventi, la magnitudo locale delle scosse aumentò improvvisamente a 4.1 il 30 marzo e Guido Bertolaso, allora a capo del Dipartimento di Protezione Civile (DPC), decise di convocare la Commissione Grandi Rischi. Di solito la commissione si riunisce a Roma, ma questa volta Bertolaso chiese al gruppo di andare a L’Aquila. Lo scopo della riunione, secondo quanto dichiarato dal DPC alla stampa il 30 marzo, doveva “fornire ai cittadini dell’Abruzzo tutte le informazioni disponibili alla comunità scientifica sull’attività sismica delle ultime settimane”.

Subito prima della riunione, uno dei membri della commissione aveva già pronunciato parole molto rassicuranti in un’intervista con la televisione locale TV Uno. Bernardo De Bernardinis, allora vice-capo del DPC e ingegnere idraulico, aveva dichiarato che le scosse “non costituiscono un pericolo” e che “la comunità scientifica mi continua a confermare che anzi è una situazione favorevole.” Le continue scosse aiutavano a scaricare l’energia della faglia, spiegò De Bernardinis. Al processo i testimoni hanno detto che ciò fu particolarmente rassicurante, perché suggeriva che il pericolo diminuiva con ogni scossa. Quando l’intervistatore suggerì che la popolazione si poteva rilassare con un “buon bicchiere di vino”, De Bernardinis rispose “assolutamente” e raccomandò un buon Montepulciano.

La riunione iniziò alle 18.30 circa nella sede del governo regionale dell’Abruzzo e finì in meno di un’ora. Al suo termine, De Bernardinis parlò in una conferenza stampa con l’allora vice-presidente della commissione, il vulcanologo Franco Barberi dell’Università di Roma (Roma Tre). A loro si unirono due funzionari statali che avevano partecipato alla riunione: il sindaco dell’Aquila Massimo Cialente e il consigliere regionale responsabile per la protezione civile Daniela Stati.

Il tenore delle loro dichiarazioni, come riportate sui quotidiani e in televisione, era: state calmi, non è possibile prevedere i terremoti, ma non ci aspettiamo l’arrivo di una grossa scossa. Il quotidiano “Il Tempo” riportò la dichiarazione di Bernardinis che non ci si aspettava un aumento dell’intensità delle scosse; la rete televisiva Abruzzo24ore riportò le parole di Cialente secondo il quale “assolutamente non ci dovrebbe essere alcun rischio” di danno sostanziale agli edifici.

Tradizionalmente, secondo i Pubblici Ministeri, gli abitanti dell’Aquila venivano istruiti dai propri genitori ad abbandonare le case alle prime avvisaglie di una scossa di terremoto per evitare gli effetti di possibili scosse più intense. Questo è ciò che successe il giorno prima della riunione, quando ci fu la scossa di magnitudo 4.1: molte persone si raggrupparono vicino al castello o in una delle piazze della città finché non si sentirono abbastanza sicure da poter tornare a casa. Ma, secondo l’accusa, la riunione della Commissione Grandi Rischi cambiò l’opinione di molte persone: “Era come se fossimo stati anestetizzati, come se qualcuno avesse rimosso la nostra paura primitiva del terremoto”, ha detto alla corte il medico locale Vincenzo Vittorini, la cui famiglia restò a casa la notte tra il 5 e il 6 aprile. “Dopo quella maledetta riunione, ci hanno messo in testa l’idea che non potesse succedere niente di terribile”.

Quando avvenne il terremoto, con il suo epicentro a poco più di 3 chilometri dal centro della città, Vittorini perse la moglie e la figlia. Il terremoto fece 309 vittime, almeno 1500 feriti e più di 65.000 persone furono costrette a lasciare le proprie case. Più di 3 anni dopo, la città sembra immobilizzata nel tempo; gran parte del centro è abbandonato, molte strade sono ancora chiuse al pubblico e alcune case sono completamente distrutte. Molti vecchi palazzi sono racchiusi in una gabbia di metallo, mentre edifici più moderni presentano enormi buchi che mostrano, in alcuni casi, alcuni mobili ancora in piedi.

L’importanza di uno sciame
Poiché il tribunale è stato reso inagibile dal terremoto, il processo si sta svolgendo in un anonimo edificio azzurro nella zona industriale alcuni chilometri fuori città. All’interno c’è spazio appena sufficiente per far sedere  gli imputati e un piccolo esercito di avvocati, mentre i numerosi amici e parenti delle vittime devono stare in piedi, insieme ai giornalisti. Secondo il Pubblico Ministero Fabio Picuti, il terremoto ha dato origine a un’insolita incursione all’interno di un settore scientifico complesso. Picuti è originario dell’Aquila e si è occupato principalmente di inchieste sul crimine organizzato locale, ma dichiara a Science di essersi documentato abbondantemente sugli aspetti scientifici di questo caso. Sostiene che se i membri della commissione avessero analizzato accuratamente i dati sismici e di altro genere di cui erano in possesso il 31 marzo 2009, e li avessero adeguatamente condivisi con i cittadini, 30 delle vittime non sarebbero rimaste in casa la notte tra il 5 e il 6 aprile.

Nel suo atto d’accusa di 509 pagine, Picuti riconosce che gli esperti avevano ragione ad affermare che è impossibile prevedere i terremoti e che costruire edifici resistenti è la migliore prevenzione. Ma ritiene che queste indicazioni siano servite a poco. Picuti ha detto in tribunale che dal verbale della riunione emergono una serie di affermazioni “incomplete e contraddittorie” pronunciate dagli imputati, molte delle quali “scientificamente inutili, quando va bene” o, ancora peggio “fuorvianti”.

L’elemento centrale dell’accusa è lo sciame sismico e il rischio connesso di un terremoto imminente. Secondo gli scienziati della commissione lo sciame non incideva, né positivamente né negativamente, sulle probabilità di un forte terremoto. Tre settimane prima del terremoto, il sismologo Giulio Selvaggi dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ha dichiarato in un’intervista al giornale locale “Il Centro”: “Uno sciame, qualunque sia e di qualunque durata, non è mai, e sottolineo mai, precursore di grandi eventi sismici”. (Selvaggi è uno dei tre imputati che non faceva parte ufficialmente della commissione, ma ne è considerato membro dall’accusa perché ha partecipato alla riunione del 31 marzo in qualità di esperto). Secondo una bozza del verbale della riunione, l’allora vice-presidente Barberi avrebbe detto che “Una sequenza di scosse sismiche non prevede nulla.”

Nella loro testimonianza, gli imputati hanno ribadito la propria opinione. Enzo Boschi, geofisico dell’Università di Bologna che per decenni è stato l’autorità italiana più importante nel settore, ha affermato in tribunale: “Mi rifiuto di affermare che una sequenza sismica, che sia composta da scosse grandi o piccole, possa annunciare l’arrivo imminente di un terremoto.” L’avvocato di Boschi, Marcello Melandri, ha aggiunto che gli esperti non hanno sottovalutato il significato dello sciame. Ha detto a Science che la commissione “non ha rassicurato nessuno” durante la riunione, aggiungendo: “Non è stato detto né che il terremoto non sarebbe avvenuto, né che sarebbe avvenuto.”

Nel discorso finale, Picuti ha ricordato che anche i terremoti del 1461 e del 1703 erano stati preceduti da sciami sismici – affermando che poiché gli imputati erano a conoscenza di questo dato, avrebbero dovuto tenerne conto. Dice: “Perché nessun membro della commissione è intervenuto dicendo: ‘No, Prof. Barberi, non possiamo fare una dichiarazione così assoluta. Parliamo invece di probabilità: raramente uno sciame sismico porta ad una forte scossa’? Se qualcosa di simile fosse scritto nel verbale, non sarei qui a discutere.”

Come Picuti ha ricordato in aula, la posizione degli imputati sembra diversa da quella della Commissione Internazionale sulla Previsione dei Terremoti per la Protezione Civile (ICEF), istituita dal DPC dopo il disastro, allo scopo di rivedere lo stato delle previsioni sismiche. Nella relazione del maggio 2011, l’ICEF afferma che il verificarsi di scosse di piccola o media intensità tende ad aumentare le possibilità di un terremoto forte nell’immediato futuro, nonostante la probabilità assoluta rimanga scarsa.

Thomas Jordan, Il sismologo della University of Southern California di Los Angeles che ha presieduto l’ICEF, ha dichiarato a Science che pensare che lo sciame sismico non significhi niente “non è del tutto giusto”. Molti sciami non portano a terremoti di grande intensità, ma alcuni lo fanno, dice. “La frequenza delle scosse è maggiore durante lo sciame che senza di esso”, spiega. “Ecco perché si pensa che le probabilità aumentino.”

Incongruenze evidenti
Picuti ha richiamato inoltre le evidenti incongruenze riscontrate nella valutazione della commissione. Una di queste riguardava l’affermazione di Boschi, emersa dalla bozza del verbale, secondo cui “i forti terremoti in Abruzzo hanno periodi di ritorno di 2-3000 anni. (…) È improbabile che a breve termine si verifichi una forte scossa come quella del 1703, anche se non si può escluderlo in maniera assoluta.” Ma Boschi è anche co-autore di uno studio del 1995 che stima la probabilità di un evento sismico di magnitudo pari o maggiore a 5.9 nell’area dell’Aquila prima del 2015 è pari a 1: in altre parole c’era la certezza che si sarebbe verificato. “Il capo dei sismologi italiani ha detto [durante la riunione] che il rischio di una forte scossa era improbabile”, ha detto Picuti in aula. “Ma è un peccato che non abbia citato il suo studio ai colleghi.”

Il Pubblico Ministero si è soffermato anche su un’affermazione fatta da Barberi durante la riunione. Secondo la bozza del verbale, Barberi ha detto che le scosse dello sciame tendono ad avere la stessa intensità e che “è altamente improbabile che nella stessa sequenza si verifichino impennate di magnitudo.” Ma Christian Del Pinto, un sismologo che ha partecipato alla riunione come osservatore, nella sua testimonianza al processo ha affermato che la magnitudo delle scosse era già aumentata bruscamente il 30 marzo, il giorno prima della riunione. Era quindi sbagliato, secondo Del Pinto, escludere ulteriori impennate di magnitudo. Picuti ha fatto notare alla corte che l’osservazione di Del Pinto è “di fondamentale importanza” perché le affermazioni riportate dalla stampa hanno causato la morte di diverse persone. “Da qui il giudizio di colpevolezza”, ha detto.

L’avvocato di Barberi, Francesco Petrelli, dice di non poter rispondere al commento di Barberi prima del suo discorso finale in tribunale, previsto per quando questo numero di Science andava in stampa.  Ma dice che il verbale non fornisce un resoconto accurato delle parole pronunciate durante la riunione, e che “bisogna leggere il testo per intero e non le sue frasi individualmente”.

Il Pubblico Ministero ha anche parlato dell’affermazione forse più controversa pronunciata da uno dei membri della Commissione Grandi Rischi. Nei suoi ormai famigerati commenti antecedenti la riunione, De Bernardinis ha detto che uno sciame sismico era in effetti “una situazione favorevole” perché causava un “continuo scarico di energia”, implicando quindi una diminuzione del rischio di un forte terremoto. Altri membri della commissione hanno detto alla corte che questa idea non era corretta. Per esempio, Selvaggi l’ha descritta “un po’ come una leggenda urbana”, perché l’energia rilasciata da piccole scosse è trascurabile rispetto a quella rilasciata durante un terremoto distruttivo. Ma Picuti ha sostenuto che gli esperti della commissione in pratica si sono allineati su questa idea quando Barberi ha chiesto agli altri scienziati la loro opinione in merito. Secondo la bozza del verbale, Picuti ha riferito alla corte che “nessuno di loro ha detto una parola”.

Nessuna voce fuori dal coro
Alcuni nuovi elementi emersi durante il processo hanno portato in primo piano il motivo per cui la riunione fosse stata convocata così in fretta, e questo è stato importante nell’attribuzione delle colpe.
A gennaio La Repubblica ha pubblicato la scottante intercettazione di una telefonata avvenuta il giorno prima della riunione. In essa, l’allora capo della protezione civile Bertolaso dice all’assessore Stati di aver indetto la riunione “non perché siamo spaventati o preoccupati” per lo sciame sismico, ma per “tranquillizzare le gente”. Al telefono Bertolaso definisce la riunione “più che altro un’operazione mediatica”.

Boschi ha dichiarato in aula che apparentemente Bertolaso voleva sentirsi dire dalla commissione che non è possibile prevedere i terremoti. “Mi sarei aspettato un’analisi più approfondita durante la riunione”, ha detto Boschi in aula. Quando il giudice gli ha chiesto come mai non abbia obiettato sulla superficialità della discussione, Boschi ha risposto: “Per me a dirigere la situazione è il capo della protezione civile e se lui mi chiede di dire una determinata cosa, io la dico.”

Secondo il geologo aquilano Moretti, la tensione crescente in città ha costretto Bertolaso a cercare di tranquillizzare la gente e di conseguenza gli scienziati sono stati spinti a fare dichiarazioni rassicuranti. “Gli scienziati sono stati spinti verso una decisione evidentemente sbagliata e poi sono stati abbandonati,” ha affermato. Ma Paolo Scandone, geologo dell’Università di Pisa e membro della commissione negli anni ’80, ritiene che il gruppo di scienziati avrebbe dovuto insistere a basarsi su verità scientifiche. Afferma: “Forse gli scienziati non erano abbastanza lucidi per dire di no a chi comandava”.

In modo analogo, ci sono opinioni differenti sulla responsabilità delle affermazioni controverse di De Bernardinis. Melandri ha dichiarato a Science che i commenti di De Bernardinis rispecchiavano “le sue parole” e non quelle della commissione. “Il Pubblico Ministero non ha fatto distinzione tra i vari membri della commissione”, dice Melandri.

Ma Picuti sostiene che De Bernardinis riportava la posizione della commissione intera, descrivendola come “un coro senza alcun solista, un organismo che parla con un’unica voce.” Picuti ha spiegato al giudice che le parole di De Bernardinis “corrispondono esattamente” a quanto è stato detto nella riunione. “Mi sono reso conto nel corso del processo che De Bernardinis è una vittima dei sismologi”, ha aggiunto.

Nella sua testimonianza, De Bernardinis ha detto al giudice che se gli altri membri della commissione gli avessero prospettato la possibilità di un forte terremoto, avrebbe agito di conseguenza. “Se mi avessero detto che il rischio era aumentato avrei chiamato subito Bertolaso.”

Le fonti della vera conoscenza
Anche se le affermazioni della commissione erano sbagliate o fuorvianti, la condanna per omicidio colposo indica che il giudice Billi deve essere sicuro che ci fosse un legame causale diretto tra la loro condotta e la decisione delle vittime di restare a casa la sera del 5 e 6 aprile. Ecco perché una piccola battaglia durante il processo era centrata sull’esistenza di tale relazione causale. Testimoniando per la difesa, il neurologo Stefano Cappa dell’Ospedale San Raffaele di Milano ha detto che è impossibile provare un legame diretto perché le dichiarazioni della stampa e il verbale con le conclusioni della commissione “trasmettevano ovviamente informazioni che erano ambigue, generiche e non specifiche”.

L’accusa ha chiamato a testimoniare Antonello Ciccozzi, un antropologo dell’Università dell’Aquila che ha sostenuto in un resoconto scritto che, per i cittadini, la commissione era costituita dalle “massime autorità scientifiche” e quindi fonte di “vera conoscenza” non disponibile ad altre persone. Concorda Maurizio Cora, un avvocato che ha perso sua moglie e due figlie nel crollo della loro casa. Ha detto alla corte che lui e la sua famiglia aspettavano il giudizio della commissione “come la manna dal cielo”. La sera del 5 aprile insieme “convennero” che, in base alle affermazioni della commissione, non ci sarebbe stata una scossa più forte delle precedenti. Rassicurati, andarono a letto.

Se Billi giudica gli imputati colpevoli, ci sarà sicuramente un appello che, con due o anche tre gradi di giudizio, potrebbe durare fino a 6 anni, secondo Fabio Alessandroni, avvocato che rappresenta i familiari e gli amici delle vittime che chiedono il risarcimento dei danni. Visto che avevano ruoli diversi, solo alcuni degli imputati potrebbero essere giudicati colpevoli, secondo Alessandroni, e le sentenze potranno essere diverse. Dice che le multe, che probabilmente verranno pagate dallo Stato anziché dagli imputati, potrebbero ammontare a decine di milioni di Euro. Bertolaso è sotto inchiesta separatamente per omicidio colposo a causa del suo ruolo.

Jordan, il presidente della Commissione per la previsione dei terremoti ICEF, non crede che ci siano dei colpevoli di omicidio colposo. Secondo lui, De Bernardinis “ha fatto affermazioni scientificamente scorrette”, ma sostiene che lui e i suoi colleghi erano impegnati in una difficile opera di equilibrio: comunicare sottigliezze sulla variazione del rischio sismico nel tentativo di contrastare previsioni infondate. “Con il senno di poi penso che non hanno ottenuto questo equilibrio, ma so per esperienza personale che in quelle situazioni è molto difficile dire le cose giuste”.

Willy Aspinall, professore di Scienza del Rischio e del Pericolo Naturale all’Università di Bristol in Gran Bretagna, è più critico. Sostiene che la commissione è stata ostacolata da una visione eccessivamente critica delle previsioni di terremoti, che al momento dominano questo campo di ricerca. I fallimenti del passato nel predire i terremoti hanno avuto come risultato che “la sismologia tradizionale si è chiusa a qualunque idea di previsione” fino al punto che, dice Aspinall, viene persino negato l’uso delle meno ambiziose previsioni probabilistiche. “Purtroppo gli esperti dovevano scegliere tra evacuare e non fare niente”, dice. “A L’Aquila le persone sono abituate a dormire nelle macchine: non avrebbero dovuto essere dissuase dal farlo, secondo me.”

Ma Aspinall si preoccupa degli effetti che un verdetto di colpevolezza potrebbero avere sulle consulenze scientifiche riguardanti i pericoli naturali. Lui era responsabile della ricerca all’Osservatorio Vulcanologico dell’isola caraibica di Montserrat quando un’eruzione uccise 19 persone nel 1997. L’inchiesta sulle morti non scaturì in un processo criminale, ma dice che “l’esito è che gli scienziati più prudenti e meglio informati evitano” di dare consigli nell’isola. “Se gli scienziati dell’Aquila sono giudicati colpevoli finiremo nelle mani dei ciarlatani e dei lunatici.”

Il miglior modo di evitare questi problemi in futuro, secondo Jordan, è di delineare chiaramente il ruolo degli scienziati e delle autorità responsabili della Protezione civile. Gli esperti dovrebbero fare “affermazioni costruite attentamente con dati probabilistici” sul rischio, che poi verranno valutate da coloro che prendono la decisione finale per scegliere la migliore linea d’azione.

Vittorini, il chirurgo che ha perso la moglie e la figlia, dice di non desiderare che gli imputati finiscano in prigione. Dice che il processo “non è una caccia alle streghe”. Vuole che siano stabiliti quali errori sono stati fatti e chi ne sia il responsabile, così da evitare tragedie simili in futuro. “Noi abbiamo bisogno di cambiare mentalità”, dice. “Dobbiamo fare in modo che le persone non cerchino solo di rassicurare”.