Volti tesi, incupiti. Gli sguardi bassi, gli occhi puntato verso la superstrada Pontina, che collega Roma a Latina, quasi sperando che da lì possa arrivare una minima speranza. Ardea, provincia di Roma, una lingua di terra che si estende verso il sud pontino, zona esplosa negli anni ’70 con fabbriche, case sparse e una politica ambientale inesistente: quaranta lavoratori, anzi, “quaranta famiglie”, come ci tengono a sottolineare, vivono una delle tantissimi crisi aziendali nel Lazio. Uno stabilimento enorme che fa intuire il passato glorioso, un supermercato all’ingrosso, per il made in Italy che si diceva non dovesse morire mai, strutture ormai ad un passo dalla chiusura definitiva. Da una settimana l’Enel ha tagliato la luce, i fornitori non si vedono da mesi e nei magazzini non c’è più nulla da vendere. Si chiama Cecconi, è un salumificio con decine di anni di storia alle spalle, oggi ad un passo dallo smantellamento definitivo. Crisi, dicono, ma a ben guardare è molto di più. Ha la faccia di quella economia canaglia fatta di fallimenti sospetti, di soldi che spariscono, di imprenditori senza scrupoli.
“Fino a quando era in vita il fondatore, Paolo Cecconi – raccontano gli operai ormai in presidio permanente da agosto – non abbiamo mai vissuto un momento come questo”. Vendevano all’estero, producevano salumi – considerata eccellenza italiana – da mandare in giro per il mondo. Alla morte del fondatore della fabbrica, nel maggio dello scorso anno, tutto cambia all’improvviso. Gli eredi non ne vogliono sapere di portare avanti quella fabbrica ad Ardea e cercano un compratore. “Ricordo quei primi incontri – spiega un delegato – quando al tavolo della regione Lazio si presentò l’assessore Mariella Zezza sorridente, presentando quelli che sembravano i salvatori”. Un tale Felice Bossi, palermitano, che in coppia con il socio Andrea Tornicchio, calabrese, si dicevano pronti a salvare la Cecconi, dandogli un futuro glorioso. “Poi sono spariti”, spiegano i lavoratori. Ed è stata una fortuna, visto che il duo Bossi e Tornicchio meno di un mese fa è stato arrestato dalla guardia di finanza di Genova, accusati di “spolpare società in difficoltà”. Fortuna momentanea, assicurano. Passano pochi giorni e prima dell’estate del 2011 gli eredi Cecconi annunciano il nuovo accordo con la Industrie riunite holding della famiglia Scarfoglio Ferrara. Imprenditori in realtà già noti in altre regioni, come vedremo. Nessuno si preoccupò, in fondo erano solo voci, e le assicurazioni sorridenti dei salvatori sembravano autentiche. Tutti i posti di lavoro – spiegavano i nuovi padroni – saranno confermati: “Ragazzi, si riparte alla grande”. L’atto di compravendita – che i lavoratori hanno consultato solo recentemente – aveva qualche stranezza di troppo, ad iniziare dal prezzo di cessione dell’attività: appena 10 euro, per macchinari, licenze, mezzi. Tutto, tranne l’edificio fisico, che veniva ceduto in affitto. Un vero affare, per la famiglia Scarfoglio Ferrara.
“Dopo pochissimo tempo sono iniziati i problemi”, ricordano i lavoratori. “I fornitori non venivano pagati, nessuno investiva nulla nell’attività e in poco tempo non avevamo più la carne per la lavorazione”. Tutto si ferma, i turni di lavoro diventano surreale: “Passavamo il tempo a pulire, con le macchine ferme”, ricordano gli operai. Lo scorso luglio si sono fermati anche gli stipendi, e da allora i quaranta lavoratori – “anzi, le quaranta famiglie, scrivilo” – hanno le buste paga vuote. “A dirigere di fatto l’attività – ricordano oggi – era Paolo Ferrara Scarfoglio, che teoricamente non aveva legami con la società, se non di parentela”. Un nome, anche questo, noto alle cronache per accuse di operazioni societarie illecite. Sul gestore di fatto della Cecconi la procura di Napoli ha aperto un’indagine sul fallimento della pasticceria Scaturchio, ipotizzando per alcuni imprenditori il “contribuito al depauperamento dei beni aziendali ai creditori sociali sottraendo anche consistenti somme al fisco, creando così un debito erariale per oltre 11 milioni di euro”. Aziende spolpate, in sostanza.
Nei giorni scorsi ai lavoratori della Cecconi di Ardea l’azienda ha comunicato ufficialmente la fine attività. Il percorso sembra ormai segnato, prima la mobilità, con poche centinaia di euro al mese, per poi scivolare nell’incubo della disoccupazione. Il vero “made in Italy” del terzo millennio.