Politica

Sicilia come metafora. Sì, ma di cosa?

Della disfatta dei partiti e della fine della politica per come l’abbiamo conosciuta. Meno male, diranno – a buon diritto e frettolosamente – molti. Ma di fronte al voto siciliano di domenica 28 ottobre 2012, bisognerà ragionare.

L’Italia ricomincia – almeno in queste ore – da Palermo, Catania e Caltanissetta? Se il Paese si guarda allo specchio dell’isola, come è già avvenuto a ondate e più volte nel passato, non ha nulla da sorridere perché non sa dove andare. Qui nessuno ha vinto e tutti hanno perso. Siamo nella terra del caos.

Dunque, palla al centro e ricapitoliamo: più della metà degli elettori è rimasto a casa e solo chi non ha argomenti (e il senso dell’ironia) può consolarsi citando la società americana e “le precedenti elezioni”. Il sistema proporzionale con sbarramento al 5 per cento, ha portato 9 partiti – sui 21 in corsa – all’assemblea regionale. Ma attenzione: solo tre partiti rappresentati sono collegati al governatore in pectore, 5 sono dello schieramento – sulla carta – avverso al vincitore numerico e 1 (i grillini) hanno già detto che non fanno accordi con nessuno. Infine, un partito o se preferite “un’area politica” – quello del governatore uscente Raffaele Lombardo – era in lizza con un piede di qua e uno di là, diviso per tattica in Mp e Mpa: ha eletto rappresentanti sia nello schieramento di Crocetta che in quello del centrodestra (a sua volta diviso almeno in due). Il partito del candidato indicato come governatore, il Pd e Rosario Crocetta, è il secondo per preferenze e va poco oltre il 13 per cento. Il primo partito, Movimento 5 Stelle, è quello che nasce come antipartito, ha raccolto poco meno del 15 per cento e la gente lo ha premiato proprio per questo o per disgusto nei confronti del sistema dei partiti. I partiti di Fini e Di Pietro sono fuori dal Palazzo, Vendola pure, ma non è rappresentato neanche nel Parlamento nazionale, anche se qui – in Sicilia – era presente. Sarà difficile formare un governo se non al prezzo di fare grossissime e spericolatissime coalizioni, alle quali tuttavia la Sicilia – dal milazzismo al lombardismo- ci ha abituato. Sono saltate tutte le regole che la scienza della politica ha tradizionalmente analizzato come quelle che reggono le abitudini degli italiani: il voto di scambio clientelare ha influito per un 10-15 per cento. Il voto di mafia ha probabilmente influenzato poco le urne, per una ragione, semplice: perché ormai la Cosa nostra è una holding che fa affari altrove, un po’ dappertutto nel mondo e poi perché le casse della Regione sono vuote, anzi piene di debiti e dunque c’era poco da scambiare, sia in favori personali che in futuri appalti.

Infine, ultimo spunto di riflessione, fuori da numeri e palazzi sulla metafora di questa elezione regionale. La realtà sociale – quella della crisi economica epocale che anche l’Italia attraversa – è rimasta fuori dal voto siciliano e degli scontri verbali che l’hanno accompagnato. La crisi – in Sicilia totale, estrema, brutta, sporca e cattiva – ha nomi e cognomi: ed esempio, quelli degli operai dell’ex polo industriale di Termini Imerese. Quelle della gente che da 50 anni muore di leucemia nei paesi intorno al vecchio petrolchimico di Augusta. Sono quelli delle famiglie, sempre più numerose, che non hanno nulla di cui vivere. Sono decine di migliaia. Ce ne sono alcune che, senza lavoro né futuro né casa, vivono nel centro di Palermo o di Catania dentro automobili. Non roulotte, ma macchine utilitarie e ci dormono e cucinano dentro, con bambini e anziani. Non sono zingari, ma cittadini per strada, letteralmente. Ma di loro non abbiamo sentito parlare e credo che continueremo a sentirne parlare poco. Cittadini al di sotto delle cifre e dei calcoli elettorali.

Loro non hanno votato, non ne avevano il tempo e la voglia. Troppo occupati a sopravvivere. Nessuno, nell’Ars, darà un occhio alla loro condizione di cittadini senza nulla. Anche se loro sono la conseguenza estrema degli sprechi del Palazzo regionale e delle collusioni della classe dirigente politica. C’è un pezzo di società, in questa frontiera della politica italiana, che vive per strada. Dopo decenni di governi, da Cuffaro a Lombardo, che hanno ignorato tutto e non solo i bilanci e lo spread. Sono loro, famiglie con la casa in macchina, l’estrema metafora di questo voto siciliano che rischia di smuovere tutto ma di non cambiare nulla della vita di molti cittadini da marciapiede.