Le elezioni siciliane hanno confermato ciò che tutti sanno ma che molti non vogliono capire.
Primo: ormai è certificato che la popolarità dei partiti e dei loro leader è ai minimi storici.
Come hanno fatto domenica più della metà dei siciliani è possibile che più della metà degli italiani, o giù di lì, il giorno del voto nazionale (ad aprile o forse prima) preferisca restare a casa.
Secondo: questo rifiuto, che contraddice mezzo secolo di convinta partecipazione elettorale di massa, non nasce dal vento qualunquista dell’antipolitica, come ci ripetono ogni giorno i gran visir di palazzo, che appunto stando nel palazzo si ostinano a recitare litanie ammuffite a cui neppure loro credono più. Se costoro ogni tanto osassero salire su un bus o andare al mercato, si renderebbero conto che la stragrande maggioranza degli italiani ne ha piene le tasche di dover versare i propri sudati soldi a un sistema fiscale tra i più esosi e iniqui per poi apprendere di aver finanziato la casta ladra dei Fiorito e gli apparati famelici della politica intesa come strumento di tornaconto personale.
In Sicilia un grido di protesta così forte e rabbioso non si era mai sentito prima. Ma attenzione: da solo rischia di perdersi nel deserto. Una volta assorbito il colpo, infatti, il sistema dei partiti con il 40 per cento (o fosse anche il dieci) potrà tranquillamente spartirsi l’istituzione regionale con annessa torta pubblica. Gli assenti, insomma, hanno sempre torto e la partita della democrazia è troppo importante per essere liquidata con un rifiuto o un’invettiva. Lo ha dimostrato il Movimento 5 Stelle del tanto vituperato Grillo, che ha mostrato molto più rispetto delle regole democratiche di tanti capi e capetti partitici, candidando facce veramente nuove, affrontando le piazze, mettendosi in gioco. L’altra buona notizia è l’elezione del pd Rosario Crocetta a Palazzo dei Normanni.
Vedremo come saprà governare un’isola depredata dai predecessori. Ma con lui – nonostante certi alleati – vince un sincero, collaudato uomo della lotta alla mafia. E non è poco.
Il Fatto Quotidiano, 30 Ottobre 2012