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La campagna elettorale per le prossime elezioni. Con un “partito” da costruire al posto delle vecchie tribù
“Chi è?”. “La politica!”. “Mi arrendo!”. I siciliani non votano. Non votavano sotto i romani, non sotto gli arabi, poi sono arrivati i normanni, gli aragonesi, gli spagnoli, gli austriaci, i borboni, e nessuno di tutti questi signori ha mai preteso di far votare i siciliani. Ci hanno provato i piemontesi, ma per modo di dire (uno ogni dieci), l’ha levato subito Mussolini, poi sono arrivati gli americani e finalmente ci hanno fatto votare tutti quanti (ma meglio per i mafiosi, e assolutamente non per i comunisti), si può dire per forza.
Per dire che qui in Sicilia (come in Veneto del resto, o negli Stati nel Papa) non è che di votare abbiamo tutta ‘sta gran voglia. Ci viene più facile ribellarci, o meglio ancora (che porta meno rischi) protestare sotto un balcone e poi tornare a casa bofonchiando. Unica eccezione, non dappertutto e per poco tempo, i comunisti (La Torre, Rizzotto) e, per meno ancora, qualche cattolico onesto e qualche prete.
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Non c’è da allarmarsi troppo, signori miei. Tanto, chi comanda davvero, è un’altra cosa. Si chiama potere mafioso, e non prevede elezioni. I principali politici, compresi i più rivoluzionari (ma tutti erano rivoluzionari, qui, a giudicare dai cartelli: Che Guevara sarebbe stato preso per moderato), si guardano bene dal parlarne troppo, compresi quelli che erano tanto incazzati da arrivare a nuoto.
Vince A di destra, o vince B di centrosinistra? Che importa: si accorderanno alla svelta, tutt’e due sono stati – o sono – amici di Lombardo. Meglio il programma A o il programma B? Che importa: sono tutt’e due bellissimi, lavoro ai disoccupati e prosperità a tutta l’isola; nessun governante siciliano, in tremila anni, ha mai promesso meno di questo.
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Ma cos’è: siamo noi siciliani che siamo fessi, sicilitudine storica, colpa di spagnoli o arabi o di Federico secondo? No, no: i furbissimi milanesi ci hanno messo niente a farsi fregare da quelli di Lega e cadrega, peggio che i catanesi con Scapagnini; e nella capitale, dove pure dovrebbero averne viste tante, il marcio su Roma è stato molto più facile dell’omonima marcia.
Ma allora? Siamo diventati fessi tutti gli italiani in una volta, così d’un tratto? Ecco, temo di sì. La politica non c’è più, o almeno non è più dove l’avevano messa i vecchi nostri, al tempo che si lavorava, si faceva politica e si votava davvero. La casta, i politici? Mah!
La casta s’è presa le fabbriche e se l’è portate in Cina, rubandoci molto più di tutti i politici ladri presenti passati e futuri. Ma ha avuto l’accortezza di comprarsi, contestualmente, giornali, tv e ogni altro mezzo di comunicazione, così la gente se l’è presa coi ladri di serie B e C ignorando completamente quelli di serie A che le rubavano figli e futuro.
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Non c’è molto altro da dire, di queste elezioni. Il trionfo del kitsch (“Sono il nuovo Giuseppe Fava!”), del vecchio “cambiare tutto per non cambiare niente”.
Tecnicamente, adesso ci sarà un Lombardo-bis con altro nome, sostenuto dallo schieramento delle primarie palermitane (Lumia, Crocetta, Sonia Alfano) e perciò nominalmente antimafioso: viva Falcone, onore ai caduti, e accordi con l’Udc del post-Cuffaro. “Ma hanno giurato di non rubare più!” obiettano i “rinnovatori”, sorridendo. D’altronde, a tanti loro elettori, non è che gliene freghi poi tanto.
Va bene: e noi “di sinistra” (qualunque cosa voglia dire oggi questa parola, che originariamente indicava i gentiluomini seduti alla sinistra dell’onorevole speaker dei comuni)? La sinistra, nei singoli e nel complesso, avrebbe potuto fare anche altre cazzate oltre quelle che ha fatto, ma sinceramente non saprei dire quali.
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La prima, il tribalismo selvaggio: ogni tribù per sé, ciascuna per i fatti suoi. La seconda, l’assenza di lotta sociale e cioè – qui ed ora – di antimafia “politica” e non emozionale. La terza, la totale e categorica disattenzione a quella che nobilmente si chiama la “società civile” e che in realtà siamo noi poveracci che ogni giorno lottiamo, senza tante etichette, sulla strada.
Nessuno s’è accorto, ad esempio, dei ragazzi di Modica o degli universitari di Bologna. Eppure erano là, una classe dirigente bell’e formata, il primo interlocutore di ogni rinnovamento. I movimenti per l’acqua, o per la pace, o contro il ponte, non sono “entrati in politica” che assai rudimentalmente, e nessuno li ha aiutati a farlo. Le donne si sono viste alla fine come invitato povero (la Marano), quello chiamato tanto per non essere tredici a tavola. Tenori tanti, ma niente orchestra.
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Grillini e Grillo (brav’uomo, ma turistico: “Problemi della Sicilia? Il traffico…”) sono un segnale, non la soluzione. Ahimè, non ci sono salvatori supremi. Nessuno verrà a tirarci fuori da noi stessi. Dovremo fare da soli. Senza illusioni e palingenesi, giorno per giorno e faticosamente.
Essere qui nel duemila quello che fu, nel dopoguerra, la generazione dell’occupazione delle terre. Partire dai “movimenti” (acqua, pace, precariato, antimafia) per formare a poco a poco un “partito”; o, meglio ancora, una rete.
Sarà un lavoro lungo, e alla fine non verrà fuori un partito nel senso tradizionale (e anche grillino) del termine, ma un’altra cosa, profondamente diversa come cent’anni fa differivano, rispetto ai vecchi circoli radicali, le prime leghe bracciantili o i primi fasci dei lavoratori.
Non osiamo nemmeno immaginare che nomi, che strutture, avrà fra cinque anni tutto questo. Ma qualcosa del genere ci sarà, oppure noi siciliani saremo sempre minorenni.
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Noi siamo qui, e lavoriamo per questo. E’ un lavoro difficile, perché le leggi-bavaglio ci renderanno sempre più difficile fare il nostro mestiere. Aiutateci a farlo.