Il cartellone domina dall’alto il cuore della città, piazza Politeama a Palermo. In ogni forma e dimensione appare nelle vie e negli angoli più frequentati. E’ la pubblicità di una società attiva nel mercato delle telecomunicazioni che per reclamizzare un particolare piano di tariffe telefoniche, ha messo in primo piano un procace fondo schiena munito di tanga con a fianco la scritta “Non vi prendiamo per il chissacché”. Ma Palermo, sede della società, è anche la città dove il 19 ottobre scorso Carmela Petrucci ha ricevuto una medaglia al valore civile per avere difeso la sorella Lucia dalla furia omicida di un aggressore e per questo aver perso la vita. “Considerare il corpo come un oggetto o una proprietà privata comporta guasti anche tragici, compreso l’esercizio della violenza su quello che non si può avere – spiega Titti De Simone, ex deputata di origini palermitane ispiratrice di ‘Non ti credere chissacché’, campagna contro le pubblicità lesive della dignità femminile – Occorre riflettere sui modelli diseducativi che si trasmettono e che possono impedire ai ragazzi di sviluppare una capacità relazionale con l’altro sesso, di accettare la propria e l’altrui differenza, sviluppando machismo e omofobia.”
A Rimini, Comune, Provincia e soggetti privati interessati hanno sottoscritto un protocollo per evitare l’uso di immagini-stereotipo negli spot, mettendo letteralmente al bando le pubblicità sessiste. Palermo invece deve fare i conti con un regolamento comunale per le affissioni, ereditato dalla precedente amministrazione, che in pratica fa gestire gli spazi “quasi in regime di monopolio – spiega l’assessore alla Comunicazione Giusto Catania. “Abbiamo già inviato all’agenzia mandataria della pubblicità una lettera formale per chiedere che non si faccia uso di immagini offensive della dignità femminile”. Ma al momento i cartelloni restano al loro posto. “Ci attiveremo per promuovere una campagna contro la violenza sulle donne in ogni sua forma – spiega ancora Catania – l’amministrazione è contro questo fenomeno e si attiverà in tal senso”.
Il Consiglio comunale di Palermo intanto ha approntato risorse per fare informazione sui temi della violenza di genere. Inoltre, sono stati istituiti due fondi, uno per il microcredito da destinare alle donne vittime di violenza e un altro, a sostegno alle donne che avviano un percorso di fuoriuscita da contesti di abuso e violenza. La discussione in aula è stata accesa, ma almeno è passato il principio che il Comune, in un modo o nell’altro, deve sostenere economicamente le donne che subiscono violenza. “Una pubblicità non uccide nessuno, ma consente la formazione di una subcultura che alimenta sessismo, omofobia e comportamenti violenti – spiega ancora Titti De Simone – A partire dal sostegno ai centri antiviolenza, proponiamo che l’amministrazione comunale produca atti concreti. Cominciamo dalla modifica del regolamento per le affissioni pubbliche, con il coinvolgimento degli operatori del settore e con esplicito divieto di pubblicità sessiste, omofobe e razziste, secondo quanto previsto dalla normativa europea”.
Se il divieto avesse seguito, in Italia, un Paese dove non esiste una precisa disciplina in materia e che ha già subito un richiamo da parte dell’Onu perché “elimini gli atteggiamenti stereotipati circa i ruoli e le responsabilità delle donne e degli uomini nella famiglia, nella società e nell’ambiente di lavoro”(Rashida Manjoo, special rapporteur delle Nazioni unite per il contrasto della violenza sulle donne), Palermo rappresenterebbe una piccola avanguardia insieme a Rimini.