Nella capitale del Regno Unito è stata lanciata la campagna justice4genocide. Ma far passare il concetto di genocidio, per Ankara, potrebbe creare un precedente imbarazzante rispetto alla guerra che l’esercito turco conduce dagli anni Ottanta contro il Partito Curdo dei Lavoratori (Pkk) e che ha causato almeno 40mila vittime
Molte cose sono cambiate sul Bosforo negli ultimi anni. Le principali testate turche, a brevi intervalli, pubblicano in prima pagina sondaggi dove emerge un profondo disinteresse della popolazione verso l’ingresso in Europa. Un tema che solo fino a qualche anno fa appassionava l’opinione pubblica turca, al punto che i settori più nazionalisti della società parlavano di “razzismo” da parte di Bruxelles rispetto all’ostinato rifiuto ad aprire la procedura di adesione della Turchia. Oggi il tono è differente, la stessa classe dirigente dell’Akp, il partito del premier Erdogan al potere, spesso chiude la questione dichiarando: “Non abbiamo più bisogno dell’Ue, ora è l’Europa che ha bisogno di noi”.
La questione siriana, la mediazione nelle rivolte arabe, i dati dell’economia in crescita nonostante la crisi globale: la Turchia è di fatto una delle nuove potenze regionali con la quale fare i conti. Se l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea è per molti leader politici del Vecchio continente inaccettabile, nessuno vuole però un allentamento delle relazioni politiche e commerciali. Due questioni, da decenni, tengono mettono in imbarazzo i membri dell’Ue: il genocidio degli armeni e la questione dei curdi. Mentre sulla prima le tensioni restano limitate a un conflitto tra Ankara e Parigi, sulla seconda è Londra a vivere giorni politicamente difficili. Nella capitale del Regno Unito, il 27 ottobre scorso, è stata lanciata la campagna justice4genocide. La comunità curda in Gran Bretagna, numerosa e con un buon peso politico, ha presentato una petizione al governo britannico per chiedere che il Regno Unito, l’Onu e l’Unione Europea riconoscano che il popolo curdo in Iraq, durante il regime di Saddam Hussein, ha subito un disegno genocida che ha portato all’uccisione di almeno 180mila persone.
Padrini dell’iniziativa alcuni deputati britannici (quasi tutti eletti nei collegi dove le comunità curde sono numerose) e il governo regionale curdo in Iraq che dal 1991 è praticamente autonomo. Bayan Sami Abdul Rahman – rappresentante del governo curdo iracheno a Londra – ha dichiarato: “Questo è il primo passo: dopo il riconoscimento del genocidio subito, trascineremo i responsabili non ancora puniti davanti alla giustizia internazionale”. Questo è il passaggio più imbarazzante per Londra e per i membri dell’Unione Europea. Se per un verso i diritti umani sono o dovrebbero essere il fiore all’occhiello dei valori comunitari europei, dall’altro la Turchia non accetterà mai che venga utilizzata la parola genocidio per i curdi. Si parla di Iraq, certo, ma il Kurdistan si estende anche in Turchia, Siria e Iran. Far passare il concetto di genocidio, per Ankara, potrebbe creare un precedente imbarazzante rispetto alla guerra che l’esercito turco conduce dagli anni Ottanta contro il Partito Curdo dei Lavoratori (Pkk) e che ha causato almeno 40mila vittime. Le ultime proprio in questi giorni. Il governo britannico, per ora, ha affidato al ministero degli Esteri un laconico comunicato: “Accoglieremo l’iniziativa di coloro che si battono per il riconoscimento delle atrocità subite, attivandoci da subito per sostenere le popolazioni che hanno sofferto in passato”. E basta. La sensazione è che si prenderà tempo fino a quando sarà possibile, perché l’Unione Europea non è mai stata così fragile a livello economico e politico e una crisi diplomatica con Ankara è l’ultima cosa di cui i leader dell’Ue sentono il bisogno.