Da diversi decenni, gli economisti hanno smesso di parlare di ‘forza lavoro’ per usare il termine, più proprio, di capitale umano. La ragione è che il capitale umano, come ogni altro capitale, può aumentare la sua produttività se oggetto di investimenti volti ad incrementarne il valore. Ciò rende i singoli portatori di capitale umano soggetti ‘aperti’ e non in sostituizione tra di loro. Il capitale umano è anche originalità, talento, merito. Da tempo ripetiamo e ci sentiamo ripetere che nel mondo globalizzato è sulla valorizzazione del capitale umano che dobbiamo puntare per il rilancio del nostro tessuto produttivo.
Questo diverso sguardo sul capitale umano comporta anche che molti economisti e, soprattutto, gran parte dei manager delle moderne imprese giudichino come dannose tutte quelle forme di rigidità contrattuale (e di organizzazione sindacale) che imponendo lo stesso trattamento su lavoratori diversi, finiscano per mortificarne il potenziale di capitale umano, il merito, la concorrenza. Se ne può e se ne deve discutere.Ma la vicenda di Pomigliano mostra il lato povero e crudo del dibattito. Imporre d’amblais il licenziamento di 19 operai per il reintegro di altri 19, mostra che Marchionne non crede in realtà alla favola del capitale umano, ma gestisca invece nuovi processi produttivi di questo secolo, né più e né meno come i capitani d’industria di fine ottocento.
L’avvento e il funzionamento della grande impresa capitalistica è stato spiegato molto bene da Frederick Winslow Taylor (1856-1915), un ingegnere che teorizzo l’ “organizzazione scientifica del lavoro”, ovvero l’ottimale divisuone del lavoro che ha dato poi vita all’impresa fordista. Si tratta di un’organizzaizone d’impresa che fonda la sua produttività su un’organizzazione piramidale unita ad una profonda specializzazione.
Il modello tayloristico-fordista di organizzazione di impresa, come ha ben sintetizzato Harry Braverman (Labor and Monopoly Capital, 1976 presuppone: (i) la dissociazione del processo lavorativo dalle capacità dei lavoratori; (ii) la separazione della progettazione dalla esecuzione; (iii) l’uso del monopolio della conoscenza al fine di controllare ogni singola parte del processo lavorativo.
Per Braverman, che era un american socialist, il contrappasso del modello taylorista-fordista consisteva nel fatto che il capitale umano presenta elevate caratteristiche di malleabilità che lo rendono potenzialmente “fungibile” ed utilizzabile nelle più svariate mansioni. Il controllo sul capitale umano conferisce al manager il potere di indirizzare il capitale umano verso la specializzazione desiderata. Secondo Braverman, se è vero che la elevata specializzazione aumenta la produttività, è anche vero che, nel momento in cui il capitale umano si specializza, esso perde la potenziale fungibilità ed assume caratteristiche di specificità e di irreversibilità che accrescono la dipendenza del lavoratore dal datore di lavoro, ma riducono al minimo la dipendenza del datore di lavoro dal lavoratore.
In altri termini, l’organizzazione taylorista, se accompagnata a disoccupazione, alimenta quello che Marx chiamava l’esercito industriale di riserva: la specializzazione si associava a mansioni semplici e ripetitive, immediatamente sostituibili. Un lavoratore vale l’altro. Se uno esce, un altro entra. Se uno entra, un altro esce.
Marchionne, con la recente decisione su Pomigliano, sembra vestire i panni dei vecchi capitani d’industria di fine ottocento e di inizi novecento. Usa il bastone sui lavoratori, ma non sembra credere all’investimento in capitale umano. Né alle sue potenzialità. Un lavoratore vale l’altro e non vale la pena di riorganizzare l’attività per valorizzare il contributo dei singoli. Entrano 19 ed escono 19. Senza nemmeno provare a riorganizzare, a rivedere, a valutare opzioni alternative.
Il risultato oggettivo è che, comunque la si pensi, Marchionne rivitalizzi proprio le vecchie tesi marxiane. Scriveva Marx, a proposito dell’esercito industriale di riserva, che quando questo è costituito gli “effetti diventano a loro volta cause, e le alterne vicende di tutto il processo, che riproduce costantemente le proprie condizioni, assumono la forma della periodicità.”
Chissà che uno degli ultimi marxiani rimasti, oggi, non sia proprio lui. Marxionne.