In 3.761 dal '91 sono stati contaminati. Il generale Debertolis chiede il "riconoscimento di infermità dipendente da causa di servizio". Caforio (Idv): "Bisogna dare una risposta alle famiglie. Per la corresponsione delle provvidenze si inseriscano anche i casi di effetti avversi"
Andrea Antonaci aveva solo 26 anni quando è morto il 12 dicembre 2000 a causa di un tumore: il linfoma non Hodgkin. Adesso il Tribunale civile di Roma ha stabilito, con una sentenza di qualche giorno fa, che a uccidere questo giovane militare è stato l’uranio impoverito. Motivo per cui il ministero della Difesa è stato condannato a pagare quasi un milione di euro ai suoi familiari: ci sarebbe infatti un nesso causale tra la patologia contratta e l’esposizione all’uranio impoverito durante il servizio prestato in Bosnia. Si tratta della dodicesima sentenza di condanna in primo grado portata avanti dall’avvocato Angelo Fiore Tartaglia dell’Osservatorio Militare–Osservatorio permanente e centro studi per il personale della Forze Armate e di Polizia. Antonaci per anni ha lottato contro un tumore nelle cui cellule sono state rilevate nanoparticelle di metalli pesanti. Poco prima di morire aveva chiesto alla famiglia che la verità sulla sua morte venisse alla luce. Ora la sua famiglia ha avuto un primo riconoscimento della sua battaglia. Battaglia che però non ha ancora certezze acquisite.
Le tesi sulle possibili cause che hanno fatto ammalare, e morire, i tanti militari italiani in questi anni (3.761 casi di contaminazione dal ’91 per uranio impoverito e altri agenti patogeni accertati tra il personale militare in servizio, secondo l’Associazione nazionale assistenza vittime arruolate nelle Forze Armate) sono varie e nessuna conclusiva, secondo la scienza: si va dall’uranio impoverito alle vaccinazioni multiple, fatte non seguendo il protocollo vaccinale della Difesa, alle nanoparticelle. Non tutti i militari ammalati infatti sono stati in missione all’estero, nei poligoni di tiro o hanno maneggiato l’uranio impoverito. Il dato di fatto però è che, in tutta questa incertezza, molti di questi ragazzi e delle loro famiglie attendono da anni, o si vedono rifiutare, il riconoscimento della causa di servizio come elemento scatenante della patologia che li ha colpiti.
E’ il caso ad esempio di David Gomiero, che avrebbe sviluppato la sua patologia, dismetabolismo dei carboidrati e del sistema immunitario, subito dopo essere stato vaccinato all’arruolamento. Tuttavia il Comitato di verifica per le cause di servizio ha rifiutato per ben due volte la sua domanda, non riconoscendo il nesso causale. E questo perché casi come il suo non sono contemplati dalla legge militare. Come ha spiegato il generale Claudio Debertolis, segretario generale della Difesa e Direttore nazionale degli armamenti, in una sua recente audizione alla commissione d’inchiesta del Senato sull’uranio impoverito, bisognerebbe modificare l’articolo 603 del codice dell’ordinamento militare, “in modo da fargli ricomprendere, ai fini del riconoscimento di infermità dipendente da causa di servizio, anche i danni iatrogeni, conseguenti cioè ad una terapia medica, ivi comprese le reazioni avverse a vaccinazioni”.
La norma in questione infatti riconosce causa di servizio e indennizzi solo a chi ha contratto infermità o patologie tumorali connesse all’esposizione e all’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e alla dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico. Quindi sono escluse altre cause. A questa modifica, secondo De Bertolis, ne andrebbe aggiunta un’altra sulla normativa secondaria di attuazione, basata sulla “concomitanza temporale” tra l’insorgere della malattia e la sottoposizione alla terapia medica. “Serve un intervento legislativo – ha detto il generale – che introduca il criterio di presunzione iuris tantum (cioé salvo la prova contraria), in alternativa a quello della presunzione legale iuris et de iure (che non la ammette), consentendo la qualificazione di infermità dipendente da causa di servizio, pur in assenza di un nesso causale scientificamente dimostrabile, ma riferendosi alle particolari condizioni in cui i fatti si sono svolti”. E proprio in tal senso si sta muovendo il senatore Giuseppe Caforio (Idv), membro della commissione Uranio. “Dobbiamo dare delle risposte a questi ragazzi e alle loro famiglie – spiega – Non si può continuare a far finta di niente dicendo che il problema non esiste. Per questo ho deciso di presentare un emendamento al ddl di delega al Governo per la revisione dello strumento militare, in cui tra i criteri per la corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere si inseriscono anche i casi di effetti avversi, ipotizzati come dipendenti dalle vaccinazioni somministrate al personale militare. Speriamo che non venga bocciato”.