Nel precedente articolo avevamo concluso sottolineando come dalla riscoperta delle relazioni poteva ripartire la rinascita sarda.
Per convincermi delle sue tesi mi porta dati e fatti storici difficilmente eccepibili. La Sardegna ha sicuramente una storia peculiare e l’Italia, fino ad oggi, l’ha sicuramente utilizzata più come terra da depredare e da sfruttare per le sue basi militari e le sue fabbriche inquinanti, la sua pastorizia legata al mercato del ‘basso costo’ che come luogo da arricchire e migliorare culturalmente e socialmente. Ma lo stesso Roberto Spano ha sottolineato più volte come la più grave colonizzazione (secolare) sia stata quella culturale che ha portato i sardi a ‘dipendere’ dall’assistenzialismo centrale piuttosto che prendersi il proprio destino sulle spalle. Io resto convinto che la strada non sia quella delle divisioni, ma della valorizzazione delle diversità, ma per il resto condivido in gran parte quanto ho appreso in questi giorni. Forse bisognerebbe andare veramente verso le famose ‘bioregioni’, i cui confini potrebbero essere segnati dai fiumi e dalle montagne, dai mari e dalle specificità culturali. Bioregioni che mettano al centro le peculiarità alimentari, ambientali, climatiche e culturali e che si relazionano tra loro con scambi di prodotti ed esperienze, in un reciproco arricchimento, ma che si caratterizzino allo stesso tempo per un’apertura verso l’altro, in un mondo in cui perderebbe di senso il concetto stesso di ‘straniero’. Nel frattempo però…
Nel frattempo la Sardegna è una terra profondamente povera se il sistema di valori resta quello vigente e potenzialmente ricchissima se si mettono al centro le risorse reali, quelle da cui dipende la vita: agricoltura, artigianato, bellezze naturali, valorizzazione del patrimonio archeologico e storico, accoglienza turistica e conservazione del paesaggio.
Ed ecco che queste contraddizioni, qui endemiche più che altrove, ci hanno accompagnato in tutto il viaggio: nelle miniere di argento, protagoniste delle vicende dell’Alcoa e del Sulcis, troviamo esempi di bioarchitettura all’avanguardia, incentrata su materiali locali, lavorazione della terra cruda, riscoperta dell’autoproduzione; nella stessa terra, a pochi chilometri di distanza da queste ragazze e questi ragazzi (che hanno vissuto all’estero e hanno scelto di tornare nel loro territorio), incontriamo delle insospettabili signore, non più giovanissime, che hanno avviato un circuito di ospitalità diffusa e portano avanti una miriade di progetti legati alla ricostruzione delle reti e alla riscoperta di un’agricoltura non chimica.
Contraddizioni! Come la tendenza, ormai decennale, allo spopolamento dei paesi nell’interno della Sardegna e all’emigrazione dei sardi che si incrocia con un’immigrazione di veneti, lombardi, emiliani, romani, siciliani che abitano questa terra, coltivandola, amandola, partecipando alle lotte contro i radar militari e ancora una volta tessendo relazioni scambiando conoscenze.
Contraddizioni! Come quei pastori apparentemente non molto acculturati che celano nelle loro stanze libri di archeologia alternativa e spiritualità o come i tanti e le tante persone che trovi in una fredda serata di ottobre, fino a tarda notte, in un prato a ballare musica sarda con le lacrime agli occhi.
E ancora contraddizioni tra una regione percepita come arretrata e caratterizzata da comuni splendidi, tenuti benissimo e con percentuali di raccolta differenziata porta a porta che fanno invidia al nord Italia affiancati da speculazioni edilizie (lungo le coste) che continuamente minacciano il territorio. Tra una Cagliari che sembra languire e una Cagliari viva di giorno e di notte e che si dimostra affamata di eventi e incontri legati alla decrescita, alla permacultura, e ad altri nuovi stili di vita.
La Sardegna è davvero la sintesi perfetta di quanto sta accadendo al nostro paese. Da un lato una regione decadente e in decadenza, che perde posti di lavoro, vede una disoccupazione record e nessun futuro. Dall’altra una Sardegna ricca di risorse straordinarie, di campi da coltivare con tecniche moderne ed ecologiche, di beni archeologici, paesaggistici e culturali da riscoprire, di energie rinnovabili e bioedilizia da sviluppare, che ha un grande futuro, ma solo se le persone decidono di cambiare modello, di lasciare la tristezza dello sviluppismo al secolo scorso e di entrare in un mondo rinnovato, incentrato su relazioni, scambi, imprenditoria, talento, risorse, autoproduzione, accoglienza, buon senso.
Volete scoprire l’altra Italia? Venite con me.
Il sito del progetto: www.italiachecambia.org
Al termine del viaggio realizzerò un libro e un documentario che racchiuderanno questa esperienza.