È la prima volta che degli operai del nuovo stabilimento Fiat di Pomigliano, tra i 2091 fortunati che sono stati riassorbiti dalla Fiat, accettano di parlare con la stampa. Si schiariscono la voce, seccata da troppi anni di silenzio, e parlano con nettezza, “per non perdere la dignità”, come dice uno di loro. Ma di nascosto, chiedendo di non essere ripresi in volto ed esigendo di essere citati con nomi di fantasia. Giacomo, Filippo, Sergio e Andrea hanno tra i 30 e i 37 anni, uno di loro è entrato in Fiat nel 2006, gli altri nel 2001, giovanissimi. Sono iscritti o ex iscritti ai sindacati che hanno firmato gli accordi di Marchionne: Uilm, Fim e Fismic.

Li incontriamo in una mattina resa tranquilla dal ponte dei morti. Pomigliano è in fibrillazione intorno al cimitero, c’è traffico, anche in città, ma meno del solito. L’auto della polizia locale incrociata in centro è lo specchio delle contraddizioni italiane: una bella Audi A3, 2000 Tdi, niente a che vedere con la produzione Fiat. Poco più avanti, nel deposito del Comune si infila anche una Smart, con tanto di insegna sulla fiancata. La Fiat non abita qui.


video di Andrea Postiglione

GLI OPERAI si siedono e cominciano a parlare. Parlano di getto: “Io dovrei essere l’operaio modello di Marchionne – spiega Filippo – nessun iscrizione al sindacato, ho sempre lavorato tranquillamente, ma con quello che succede ora non si può scherzare”. Quello “che succede” è la petizione circolata in fabbrica la scorsa settimana e con la quale gli operai si dicevano preoccupati per il fatto che le 145 assunzioni ordinate dal Tribunale per sanare la discriminazione contro la Fiom potessero minacciare chi il posto ce l’ha. Un’iniziativa vissuta come una nuova guerra tra poveri. “Il team leader, il capo squadra mi ha detto ‘Firma, fai presto che ho da fare’, senza nemmeno farmi leggere. Ho firmato. Ma quando ho chiesto spiegazioni mi ha detto che mi avrebbe potuto cancellare e mettermi nella lista di quelli là”. Quelli là sono gli altri, quelli che non sono solidali con l’azienda, gli amici della Fiom. Sergio è più esplicito: “Il motivo per cui siamo qua è che abbiamo visto uno schifo”. La petizione è stata “fatta dall’azienda ma presentata come ispirata dagli operai”. Sergio racconta: “Un sindacalista mi ha spiegato tutto. All’inizio della settimana il direttore ha convocato i sindacati dicendo che occorreva fare qualcosa sulla vicenda delle riassunzioni”. A quel punto, spiega, si sono attivati “i capi, i team leader e i sindacati, in particolare la Fim Cisl: giovedì e venerdì scorsi alle 6 di mattina c’erano già dei sindacalisti in fabbrica, di solito arrivano alle otto, e facevano girare la petizione”.

“A me – continua Sergio – è stato detto chiaramente: ti consiglio di firmarla perché se non la firmi ti mettono in mobilità forzata. Ma io la penna non l’ho presa in mano”. E non ha paura? “Certo che ho paura di finire tra i 19 da sacrificare. Ma io faccio il mio lavoro e voglio essere giudicato solo per quello. Pensavo saremmo stati in pochi a firmare , e invece siamo arrivati a 600”. L’azienda, sentita dal Fatto, afferma di “non voler rispondere a dichiarazioni anonime”. Su richiesta di un commento, però, è secca: niente a che vedere con la petizione. La Fim è più sfumata, invita a non strumentalizzare la vicenda, parla di 1900 firme arrivate presso la sede nazionale e invita a riflettere su iniziative del genere.

Nel racconto c’è anche il clima dentro la fabbrica dove la vita non è facile, soprattutto dopo i ritmi imposti dal piano Fabbrica Italia. Le pause, soprattutto, sono una bestia nera, tre da 10 minuti in otto ore di lavoro: “Non c’è il tempo di parlare con il collega vicino, di bere da una bottiglietta dietro alla postazione, se siamo raffreddati non c’è tempo di prendere un fazzoletto dalla tasca. Abbiamo un minuto per fare una macchina: un minuto per fare l’operazione e subito dietro spunta l’altra macchina”. L’azienda si è mangiata il tempo: “Prima avevamo 30-40 secondi per tirare il fiato tra una macchina e l’altra”. Ora non ci sono più. “Quando ho firmato il contratto, spiega Sergio, il direttore mi ha detto che sono state tolte le sedie e i tavolini perché, tanto, con il nuovo sistema di lavoro non c’è bisogno di sedervi”. “Mi ha colpito la scena – aggiunge Filippo – di vedere alcune donne andare in bagno con in mano cracker, panini e frutta, per non perdere tempo”.

Accanto agli operai della Fip ci sono anche quelli in cassa integrazione, ancora dipendenti di Fiat group automobiles (Fga). Sono 2276 e aspettano. Con poca fiducia. “Io vivo con 760-780 euro di assegno di cassa integrazione – spiega Andrea – e meno male che mia moglie lavora”. Però ora deve sospendere il mutuo da 700 euro e le bollette si accumulano sul tavolo. Lui ha sempre votato Ds e poi Pd, “ma ora non voterò, la politica deve schierarsi”. Ma Marchionne dice che ha evitato il massacro sociale, che rispondete? “Che quando arriviamo a luglio 2013 e finisce la Cassa integrazione – dice Giacomo, assunto dal 2001 ma fuori dalla fabbrica – noi andremo tutti in mezzo a una strada, in mobilità.

A Marchionne domando: può confermare che nel 2013 noi saremo felici e contenti andando a lavorare e non ci troviamo invece a casa?”.

da Il Fatto Quotidiano del 3 novembre

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