Mancano pochi giorni all’elezione del quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti. Ma un altro risultato elettorale sembra già definito. Stando ai sondaggi, ci sarà un sostanziale pareggio tra Repubblicani e Democratici, con i primi che manterranno il controllo della Camera e i secondi quello del Senato. Ma ciò determinerà uno stallo nelle decisioni su questioni fondamentali. E in particolare impedirà di arrivare a un nuovo patto sociale che produca una politica di bilancio sostenibile.

di Nicola Persico (lavoce.info)

Siamo in dirittura d’arrivo: le elezioni presidenziali americane si terranno fra una settimana, il 6 novembre. Tutto il mondo guarda con attenzione, per vedere chi sarà il prossimo inquilino dello studio ovale.

Un risultato già noto

Per chi vive fuori dagli Stati Uniti, il presidente americano è l’uomo più potente della terra. Dirige la nazione più prospera, con l’esercito più temibile, una rete di alleanze diplomatiche invidiabile, eccetera. E, inoltre, il presidente può decidere unilateralmente di entrare in guerra e, attraverso il dipartimento di Stato, gestisce la politica estera senza troppi impedimenti da parte del Congresso. È dunque naturale guardare a queste elezioni presidenziali con trepidazione.

Per la politica interna, cioè per gli americani, il discorso è diverso. Invero, da un certo punto di vista, sappiamo già il risultato di queste elezioni: secondo i sondaggi, i Repubblicani manterranno il controllo della Camera, e i Democratici quello del Senato. Se sarà così, la politica interna degli Stati Uniti è già scritta – o meglio, lasciata in bianco. Sì, perché un Congresso diviso non riuscirà a trovare consenso sulle leggi da passare. E così saranno anni di gridlock, cioè blocco (come accade nel traffico).

Quando si verifica un gridlock, non conta chi sia il presidente; in politica interna si fa poco perché prevalgono le esasperazioni di partito. Il presidente può cercare di usare il suo potere per mettere assieme coalizioni ad hoc, ma questo non è facile. Per lo più la produzione legislativa diminuisce. Possiamo quindi rassegnarci a un’America che, da un punto di vista interno, continuerà sul solco attuale, a timone bloccato.

Lo stallo che attende gli Stati Uniti è tanto più dannoso per quanto è grave la attuale situazione. E c’è di che preoccuparsi. Per prima cosa, un debito pubblico che ha sforato la soglia del 100 per cento del Pil e che minaccia di continuare a crescere vertiginosamente. In secondo luogo, un sistema scolastico da terzo mondo, almeno in termini di qualità media. In terzo luogo, un sistema sanitario inefficiente e costosissimo. Potrei continuare, ma mi fermo qui. Il punto, però, è chiaro. Gli Usa, come tante altre democrazie, sono in una situazione molto precaria dovuta ai debiti del settore pubblico.

Si può dire, esagerando ma non poi tanto, che i forzieri dello Stato non hanno resistito all’attacco alla diligenza da parte di cittadini, imprese, partiti, e così via. Adesso che i forzieri sono vuoti ci dobbiamo inventare un nuovo consenso democratico, non basato sulla distribuzione della cosa pubblica ai propri costituenti. È necessario un nuovo patto sociale che produca una politica di bilancio sostenibile. È una sfida improba, difficilissima per chiunque, giacché è la natura stessa della democrazia che tende a produrre l’assalto alla diligenza. Ma è una sfida impossibile in tempi di gridlock. Rassegniamoci quindi ad altri quattro anni di malessere interno per gli Stati Uniti.

*Ha ottenuto il PhD. in Economics alla Northwestern University. Ha insegnato alla University of California Los Angeles (UCLA), alla University of Pennsylvania, e alla New York University, prima di ritornare alla Northwestern University nella Kellogg School of Business. E’ Research Associate per il National Bureau of Economic Research (NBER) e Honorary Fellow del Collegio Carlo Alberto. Ha pubblicato numerosi articoli presso le maggiori riviste scientifiche internazionali. I suoi interessi scientifici riguardano la Political Economy (l’economia della politica), Legge ed Economia, Criminologia, e la teoria economica.

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