Napolitano preme perché entro metà novembre emergano proposte concrete soprattutto per la modifica del premio di maggioranza. Ed è pronto a un intervento "di forza". La Affari costituzionali del Senato si prepara a discutere sulla bozza Malan che, così come è strutturata adesso, darebbe come unico esito possibile del voto un governo di larghe coalizioni
Incombe un intervento del Capo dello Stato sulle Camere. In più, il tempo stringe. E dopo le elezioni siciliane il quadro generale è più chiaro a tutte le forze politiche in campo. Ma, soprattutto, è lampante un elemento; che senza una modifica credibile dell’attuale legge elettorale, quel 52% di astensionismo che ha segnato le urne per il nuovo governo di Palazzo dei Normanni, potrebbe riproporsi anche alle prossime politiche. A quel punto, la classe politica risulterebbe ancor più squalificata di quanto appare adesso. Ma nessuno sembra aver intenzione di essere ulteriormente delegittimato dall’elettorato. Succede, quindi, che questa settimana la commissione Affari Costituzionali del Senato, dove si sta discutendo inutilmente da mesi su come modificare il Porcellum, chiuderà i propri lavori. L’articolato su cui si sta lavorando, la bozza Malan, così com’è scritto adesso, condannerebbe il prossimo Parlamento ad un governo di grossa coalizione, dunque ad un Monti bis sotto il profilo dell’esecutivo possibile. Una conseguenza che appare evidente a molti osservatori, tra cui il Centro studi elettorali (Luiss e università di Firenze), che ha pubblicato uno studio intitolato “bozza Malan, alla ricerca della maggioranza impossibile”. Quello a cui si punta, però, è di trovare a breve un accordo per modificare il premio di coalizione e consentire a chi raggiungerà la maggioranza dei voti di poter governare. Senza stralci e senza scosse particolari, ma attraverso un percorso parlamentare lineare: se l’accordo non si riuscirà a trovare in commissione entro la settimana, lo si raggiungerà in aula attraverso un emendamento ad hoc scritto a più mani dai laeder delle forze politiche ad un tavolo che sempre Napolitano sta sollecitando da settimane. E che solo ora, dopo il voto in Sicilia, potrà aprirsi con davanti una “cartina” del voto che non è più solo espressione dei sondaggi, ma della “triste” realtà.
La Sicilia, quindi, è stata ancora una volta il laboratorio politico del Paese prossimo a voltare pagina sul fronte politico. E non è un caso se, ad urne siciliane ancora calde, potenti scosse telluriche hanno fatto esplodere in modo definitivo non solo il Pdl, ma anche l’Idv di Di Pietro, mentre il vento di burrasca che tira nel Pd non accenna a placarsi. E chissà dopo le primarie. L’attesa è ora sulle mosse di Passera e Riccardi al centro, ma il quadro si sta lentamente cominciando a definire, con Grillo che punta a diventare qualcosa di molto di più di una semplice presenza tra gli scranni di Montecitorio e Palazzo Madama. Ecco, quindi, che la legge elettorale diventa l’immediata e più calda partita politica delle prossime settimane. Perché – è bene ricordarlo – non si può tornare a votare con il Porcellum di Calderoli così com’è adesso. Una sentenza della Corte Costituzionale, la 4071, ha in pratica stabilito l’incostituzionalità del premio di maggioranza voluto da Berlusconi nel 2006 perché non agganciato né a un numero di voti, né ad un numero di seggi.
Soprattutto, Napolitano non ha alcuna intenzione di permettere che questo avvenga. Poche ore fa ha escluso l’ipotesi di voto anticipato, dimostrando di non voler accettare la “scusa” per non cambiare la legge elettorale. E martedì scorso, non a caso, c’è stato un lungo colloquio tra il Capo dello Stato e il presidente del Senato. Se da un lato Schifani ha assicurato a Napolitano il suo massimo sforzo per portare la legge alla rapida approvazione dell’aula, dall’altro Napolitano ha chiarito una volta per tutte che se entro la metà di novembre da palazzo Madama non saranno emersi risultati robusti, un suo intervento con un messaggio mirato e pressante alle Camere sarà inevitabile. Se poi anche quello dovesse cadere nel vuoto (ma l’ipotesi è data per estremamente remota) allora lo stesso Napolitano sarebbe pronto a sollecitare il governo ad intervenire per decreto per cambiare quella parte del Porcellum “cassato” dalla Consulta. Gli esiti di questo colloquio ultimativo del Colle sono stati portati da Schifani a tutti i capogruppi. Di qui l’accelerazione che avverrà la prossima settimana in Senato per arrivare a portare il testo in aula entro il 13 novembre. Il termine dell’ultima lettura della legge, in caso di un passaggio emendativo alla Camera, potrebbe anche essere quello della fine di gennaio. “In fondo – ricorda Carlo Vizzini, presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato – il Porcellum fu votato a fine dicembre, non vedrei nessuno scandalo in un voto anche all’ultimo tuffo, ma guai a non provarci neppure”. Il tutto nonostante l’Ocse abbia raccomandato agli stati di non varare nuove leggi elettorali nell’ultimo anno di legislatura per non falsare la corsa al voto.
Ma, al di là dei tecnicismi, la bozza Malan, approvata in commissione da Pdl, Lega e Udc e invece bocciata da Pd e Idv, rappresenta un’alternativa concreta al Porcellum? Come si diceva, così com’è scritta ora, la legge condanna il prossimo Parlamento alla perenne ricerca di una maggioranza possibile. O impossibile. A meno che non venga cambiato il premio di maggioranza. E’ su questo nodo, infatti, che si consumerà la battaglia parlamentare. Il testo Malan prevede, per la Camera, l’assegnazione su base nazionale (con la formula proporzionale) di 541 seggi e l’attribuzione di un premio di 76 seggi alla lista o coalizione che abbia ottenuto il maggior numero di voti. Inoltre prevede che alla ripartizione dei seggi accedano solo le liste che abbiano superato il 5% del totale dei voti validi nazionali, o almeno il 7% in circoscrizioni comprendenti almeno un quinto della popolazione nazionale. In quali condizioni la legge Malan consentirebbe, dunque, ad una coalizione di conquistare la maggioranza assoluta dei seggi della Camera (316)?. Senza il premio, sarebbe necessario avere conseguito una percentuale del 52% sul totale dei voti validi. Che è veramente molto alta. In virtù del premio di 76 seggi si abbassa la quota di voti che è necessario raggiungere per ottenere la maggioranza, ma comunque non scende sotto il 45%. E anche questa è una percentuale molto alta. Come mai, quindi, un premio pari al 12,5% dei seggi dell’Assemblea, come prevede la Malan, non permette ad una coalizione del 40% di ottenere la maggioranza? Il fatto è che se il premio non ci fosse e anche i 76 seggi in questione fossero assegnati proporzionalmente, alla nostra coalizione del 40% ne andrebbero comunque 30.
Allo stato attuale, secondo quanto riporta uno studio del centro studi Cise, non pare che vi sia alcuna possibile coalizione preelettorale in grado di superare quota 40% di consenso. Per questo, il testo Malan, appare “uno strumento adattissimo – si legge nello studio – per quanti desiderano una grande coalizione postelettorale come soluzione di governo per la prossima legislatura”. Insomma, per come sono messi oggi i partiti e anche ipotizzando di cambiare l’ordine di alcuni fattori, non si ottiene mai una maggioranza assoluta. A meno di non cambiare il premio. Un’ipotesi sul tappeto parla di assegnarlo alla coalizione che ha ottenuto il 40% dei consensi. E se ciò non dovesse verificarsi, di garantire una sorta di bonus seggi al partito che ha avuto più voti. Ma con Grillo vicino alla soglia del 20% e deciso a non fare coalizioni con nessuno, difficile che qualcuno – come si diceva- possa superare il 40%. Meglio puntare sul bonus al partito di maggioranza relativa. Solo che, in questo caso, dovrebbe essere davvero alto per consentirgli di governare anche da solo ed è ovvio che l’eventualità viene osteggiata pesantemente dai partiti, come il Pdl, che si vedono sconfitti alle urne. Qualcosa, però, si muove, la mediazione è già in corso, il tempo comunque è poco. Napolitano, d’altra parte, non vuole lasciare altri alibi all’inefficienza della classe politica. Altrimenti, par di capire, ci penserà lui. Per le forze politiche sarebbe uno schiaffo insopportabile. Di sicuro, quello definitivo. “Sarebbe un vero e proprio suicidio politico”, sostiene Vizzini. Chi ha voglia di prendersi questa responsabilità?
Ecco il testo della “bozza Malan”