Il presidente della concessionaria dell'opera grato al governo per il congelamento di ogni decisione definitiva tira in ballo gli asiatici dando per certo il loro interesse. Ma già Matteoli aveva lanciato l'ipotesi un anno fa senza seguito. E i casi di flop da Pechino in Italia non mancano: dalla Irisbus alla De Tomaso, passando per Termini Imerese e l'Inter
Ci risiamo. Quando non si sa più a che santo votarsi puntuale come un orologio spunta l’investitore cinese. Questa volta a chiamarlo in causa è stato il presidente della Stretto di Messina spa, Giuseppe Zamberletti, che all’indomani della decisione del governo Monti di congelare il progetto per due anni, aveva dichiarato a Radiocor che per finanziare la costruzione del Ponte sullo Stretto “c’è un interesse accertato non solo del fondo sovrano di Pechino China Investment Corporation, ma anche di imprese di costruzione e fornitura cinesi”, citando anche società di costruzioni come la China communication and construction company (Cccc). Cioè i soggetti che sarebbero disposti a investire nella costruzione del Ponte e in altre infrastrutture nel Mezzogiorno.
Affermazione avallata, sul Giornale di Sicilia, anche da Enzo Siviero, ordinario di Teoria e Progetto di ponti all’Università IUAV di Venezia nonché consulente di lungo corso dell’Anas, il gestore della rete stradale ed autostradale italiana guidato da Pietro Ciucci. Lo stesso uomo, cioè, che guida la Stretto di Messina dal 2002 in veste di amministratore delegato. “Nelle scorse settimane a Istanbul c’è stato un incontro fra rappresentanti della Cccc e Giuseppe Fiammenghi, direttore generale della Ponte Stretto di Messina”, ha detto il professore, che è un grande sostenitore della costruzione del Ponte.
La Cccc, sempre secondo Siviero, avrebbe presentato un piano, chiamato “Ulisse”, per realizzare una piattaforma logistica da Gioia Tauro a Trapani e sarebbe interessata a interventi sulle ferrovie da Napoli in giù, compreso il raddoppio della linea Messina-Trapani. Il 16 settembre dello scorso anno una delegazione cinese si è recata a Messina, dove ha incontrato rappresentanti della società Ponte Stretto, per acquisire elementi tecnici utili al progetto di attraversamento dello Stretto di Qiongzhou.
Dal canto suo Zamberletti, a domanda su quanto verrà costare allo Stato, risponde che “l’obiettivo è quasi nulla a carico del pubblico”. Ammesso che l’interesse di China Investment Corporation, di cui per altro aveva già parlato nel settembre 2011 l’allora ministro Altero Matteoli, si concretizzi sul serio. Il condizionale, in questi casi, è d’obbligo. Non solo per la partita da risolvere con chi l’appalto se l’è già aggiudicato, il consorzio Eurolink capeggiato da Impregilo, tema sul quale Zamberletti è molto ottimista.
Il punto è che la concretezza dell’interesse dei cosiddetti investitori stranieri è di per sè un concetto piuttosto vago. Figuriamoci se si tratta di Fondi sovrani, dove la riservatezza è la regola. Se poi sono nella vasta e lontana Cina, la faccenda si fa più che nebulosa. Tanto più che la storia recente degli investimenti cinesi in Italia ci ha abituato a più buchi nell’acqua che fatti concreti.
Tra le pochissime operazioni andate a segno, infatti, c’è l’acquisizione dei cantieri nautici Ferrretti di Folì da parte del colosso statale Shandong Heavy Industries-Weichai group, del gennaio scorso. Poi, molto poco, nonostante la missione del Premier Mario Monti che si era fatto promettere dal suo omologo cinese, Hu Jintao: “Suggerirò a tutte le autorità e alla business community cinesi di investire in Italia”.
Memorabili, invece, i fantomatici investitori asiatici che avrebbero dovuto rilevare la De Tomaso di Gianmario Rossignolo salvando duemila operai e due stabilimenti dell’auto tra Torino e Livorno. L’operazione era data per fatta alla fine dell’inverno, ma loro non si sono mai visti e l’azienda è andata a carte quarantotto, con risvolti penali. Sempre nell’ombra o quasi, i soci asiatici di Massimo Di Risio che avrebbero dovuto affiancarlo nel subentro alla Fiat a Termini Imerese. Loro almeno si sono visti, in visita all’impianto a fine estate, ma poi tutto è finito in una bolla di sapone come l’avventura di Di Risio.
Avvolto nel mistero, poi, il caso di inizio agosto dell’accordo tra la China Railway Construction Corp. (Crcc) per l’acquisto del 15% dell’Inter, smentito dai cinesi nel giro di ventiquattr’ore dall’annuncio che però era stato fatto direttamente dalla società calcistica della famiglia Moratti che aveva reso nota anche la collaborazione per la costruzione del nuovo stadio Collaborazione che in cinese è però stata tradotta con la parola “colloqui”.
La questione, però, sarebbe ben lontana dall’essere chiusa se a tre mesi di distanza, lunedì 29, Massimo Moratti, ha dichiarato di ritenere “plausibile” una chiusura dell’accordo con i nuovi soci cinesi per la cessione del 15% della società entro fine anno. “Ci sono delle condizioni burocratiche in questo Paese che mettono a volte in condizioni non facili”, si è scusato sostenendo che i problemi relativi all’iter burocratico “sono in via di soluzione” e che “tutto è valido come abbiamo detto tre mesi fa. Sarà questione di poco tempo”, ha sottolineato durante l’assemblea che ha approvato il bilancio in rosso per 77 milioni. “L’importante è che rimane la volontà e che l’entusiasmo dell’eventuale socio sta crescendo. Il mio progetto è di avere un socio forte e di fare il nuovo stadio”, ha detto.
Se a Milano tirano le fila la volontà e l’entusiasmo, in Campania sentimenti simili sono invece evaporati nel nulla così come i pretendenti cinesi della Irisbus di Avellino, che avevano acceso le speranze degli operai di Valle Ufita con la notizia della costituzione di una joint venture che però non si è mai concretizzata. Non senza la beffa finale di vedere i salvatori cinesi trasformarsi in spietati concorrenti nella vendita di autobus a Grosseto e Treviso.