La Scuola pubblica italiana si dibatte da molto tempo in difficoltà enormi, ben conosciute dagli utenti. Gli ultimi anni di governo hanno prodotto il drammatico taglio ai finanziamenti destinati alle scuole pubbliche per il funzionamento degli Istituti con riduzione dei fondi che servono ad esempio per acquistare la carta igienica, quella per le fotocopie, i prodotti per la pulizia, le spese di telefono o le strumentazioni necessarie per far funzionare i laboratori.
Dopo i risparmi degli ultimi cinque anni stimati in otto miliardi e mezzo di euro le ultime proposte riguardano la cosiddetta informatizzazione forzata che già prevede registro, pagelle e iscrizioni on line. Questi cambiamenti dovranno essere attuati “con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Insomma, niente soldi in più per le scuole per la “rivoluzione on line”, solo belle parole…
Che dire, poi, dei fondi necessari per costruire le reti wireless senza le quali non ci si connette ad alcunché…, dei programmi, degli antivirus per non parlare dei tecnici necessari alla manutenzione della rete e dei computer, di loro non si sa nulla perché sono spariti. E le scuole, a chi si rivolgeranno per effettuare le manutenzioni necessarie senza fondi aggiuntivi?
I problemi vengono affrontati serenamente con una vecchia ricetta: avanzare dei proclami, degli annunci ad effetto per distrarre l’opinione pubblica tra promesse non realizzate e sogni ad occhi aperti. L’ultimo annuncio è un vero capolavoro perché, nel panorama già descritto, spariranno prossimamente anche i libri di testo cartacei, eventualmente stampati e gestiti con i fondi delle famiglie (o della scuola?), soppiantati da tablet acquistati, per connettersi ad una rete che spesso non esiste. Il risparmio che si dovrebbe ottenere pare aleatorio visto che un libro costa mediamente dai dieci ai quindici euro mentre stamparlo, col prezzo medio di una cartuccia di stampante, è enormemente superiore. Il costo di un tablet, stampante, cartucce di stampa, carta, rete vireless, antivirus, manutenzione per non parlare dei furti o dei guasti per caduta accidentale è di molto superiore a tutta la dotazione di libri di un normale studente in cinque anni di scuola.
Forse il problema è psicologico in quanto la nostra generazione, che si è formata sui libri cartacei, ha serie difficoltà ad immaginare la possibilità di studiare su una tavoletta senza un supporto da poter sottolineare, imprimere nella memoria visiva o schematizzare. Non so se in altri paesi questa esperienza sia stata portata avanti e con quali risultati ma la sensazione è che si tratti di una innovazione che non porta niente di più o di diverso sul piano culturale rispetto al vecchio libro. Mi pongo quindi le seguenti domande:
Chi dovrà sopportare i reali costi di questa innovazione? Le famiglie? La scuola?
Inconsciamente il libro rappresenta il sapere e la sua presenza fisica sulla scrivania o nello scaffale ci offre visivamente l’immagine di ciò che abbiamo introiettato e fatto nostro?
Si tratta di una resistenza al cambiamenti o veramente un teblet è inidoneo a trasmetterci il sapere?
Questa “Isola che non c’è” sognata dal nuovo ministro serve forse a far dimenticare i problemi reali? E’ l’ansia dell’innovazione rispetto al futuro che porta a formulare sempre nuove ricette senza chiedersi se siano migliori delle precedenti? Esiste una inconscia rabbia verso la cultura, i libri che la rappresentano, gli autori o gli editori che anima questi progetti?