Una delle prime cose che vengono in mente pensando a Grillo è il turpiloquio. Per forza: per un comico le parolacce e le invettive sono pane quotidiano. Detto in termini più precisi, Grillo fa satira politica e l’aggressività verbale fa parte di una tecnica che la satira ha sempre usato, da Aristofane in poi: la riduzione del politico alle sue miserie umane, che includono forme di irrazionalità e stupidità, difetti fisici, bassi istinti. Indirizzare al politico di turno parolacce e insulti attinenti alla sfera sessuale o escrementizia vuol dire infatti focalizzare l’attenzione sul suo corpo e alcune sue parti tabù, cancellando così la dignità che gli proviene dal potere e dal ruolo.
Inoltre, parlare di problemi politici, sociali e economici intercalando continui cazzo, porca puttana e altre espressioni colorite implica avvicinarsi ai toni spicci del linguaggio ordinario, dove da decenni il turpiloquio è sdoganato. È così che le parolacce sono entrate in politica, per avvicinare i leader alla “gente comune”. Infatti Grillo non è né il primo né l’unico a usarle: l’hanno fatto Bossi e molti della Lega prima di lui; e lo fanno, pur in modo sporadico, diversi altri politici, da Fini a Bersani, da Di Pietro a Santanchè. Sono uno di voi perché parlo come voi, è come se ci dicessero tutti.
Ma i politici si concedono qualche parolaccia solo ogni tanto, e persino Bossi e i suoi cercano di contenersi sui media e nelle sedi istituzionali. Per Grillo invece l’aggressività verbale è la norma, nei comizi come sul blog. Per forza – si potrebbe obiettare – è lo stile della sua satira. Vero, e l’ho già detto.
Il problema però è che Grillo è ambivalente: non è più solo un comico perché ha fondato un movimento politico, ma non è nemmeno un politico perché non si candida a nulla. Né comico né politico, soffre una «crisi di identità», ha ripetuto girando la Sicilia. Un politico-non politico, un paradosso, un’anomalia.
Ma nel frattempo la sua aggressività verbale entra tutti i giorni nel linguaggio politico e mediatico, ne alza i toni e abbassa il livello, ma soprattutto distoglie l’attenzione dai contenuti e programmi, ossessionando tutti – politici, giornalisti, cittadini – con inutili pettegolezzi del tipo senti cos’ha detto Grillo di Tizio… hai visto come gli ha risposto Caio… uh, quanto s’è incazzato Sempronio… Il che non fa bene ai politici che, tutti presi dal doversi difendere dagli insulti di Grillo, trascurano la portata del Movimento 5 Stelle e dimenticano di prendere in considerazione il suo programma. Ma non fa bene neppure agli attivisti del Movimento 5 Stelle, molti dei quali sono persone serissime che faticano tutti i giorni a ricordare che i programmi e i contenuti esistono e occorre leggerli, studiarli e, soprattutto, contribuirvi in modo concreto e propositivo. Infine non fa bene nemmeno ai sostenitori e simpatizzanti di Grillo e del suo movimento, che spesso sono i primi a fermarsi all’insulto, invece di impegnarsi seriamente in prima persona, come lo stesso Grillo vorrebbe. Lo dimostra il blog di Grillo, dove i commenti vuoti e aggressivi hanno spesso la meglio sulle discussioni competenti e argomentate.
Credo insomma che Grillo debba a questo punto affrontare seriamente la sua «crisi di identità», e che la soluzione non possa trascurare il modo in cui parla. Per il bene del suo movimento. Continua (2).
Vedi anche Come comunica Grillo (1). Il corpo.