La Regione Lazio dovrà pagare un conto di circa 620.000 euro per l’utilizzo di ambulanze private nel primo trimestre del 2012. Se il ricorso a questo servizio manterrà i ritmi registrati tra gennaio e marzo di quest’anno il conto a fine 2012 ammonterà a quasi due milioni e mezzo di euro, una bella cifra. Le ragioni dello spreco sono presto dette: i pronti soccorsi sono intasati ed i continui tagli alla spesa pubblica hanno ridotto i letti d’ospedale disponibili. Questo rende difficili i ricoveri e lascia i malati sulle barelle intanto che i sanitari si affannano a cercare improbabili posti letto in strutture ospedaliere diverse da quella nella quale il malato è stato portato. Finché il malato è in barella l’ambulanza non può ripartire e rimane inattiva; di qui la moltiplicazione dei costi del servizio. Non voglio neppure pensare che ci possa essere qualche gestore privato che trae lucro da questa situazione (l’ambulanza parcheggiata davanti ad un Pronto Soccorso costa poco e rende bene); ma è ovvio che il disservizio costa caro alla comunità dei cittadini.
Il nocciolo della questione è di una banalità estrema: c’è un livello minimo di spesa pubblica e di costo dei servizi al di sotto del quale non si può andare; se si cerca di risparmiare oltre il ragionevole il sistema pubblico non funziona più e crea disservizi che hanno costi elevati. Il servizio sanitario pubblico copre un fabbisogno non comprimibile della popolazione: se per risparmiare si chiudono ospedali e si eliminano posti letto, i malati rimangono a stazionare in barella, con gravissimo disagio e ovvio pregiudizio per le cure di cui hanno bisogno; per di più la barella finisce per costare più cara del letto che è stato soppresso. Il Pronto Soccorso di un grande ospedale eroga circa 100.000 prestazioni all’anno, ovvero circa 300 prestazioni al giorno; alcune di queste impegnano il personale addetto per decine di minuti o ore e molte finiscono con un ricovero. Alle spalle del Pronto Soccorso ci deve essere un ospedale in grado di assorbire i pazienti, non una struttura martoriata dai tagli di bilancio e di personale.
Quanti servizi pubblici in Italia si trovano nelle stesse condizioni? Temo moltissimi o tutti: i processi sono lenti e quindi costosi per l’insufficienza delle risorse messe a disposizione; la manutenzione degli edifici pubblici è ridotta al nulla col risultato che le strutture inagibili si moltiplicano e lo stato affronta le emergenze risultanti con costose ed inefficaci soluzioni temporanee; nella scuola e negli asili è stato ridotto il sostegno agli alunni che ne hanno bisogno e sono stati ridotti gli orari con costi gravosi per le famiglie; e si potrebbe continuare ad elencare.
La spesa pubblica non è uno spreco o un lusso ma una necessità e che il tentativo di comprimerla oltre il ragionevole non comporta risparmi ma costi e disagi. Tanto più che nell’attuale panorama di miseria del paese l’unico comparto sul quale non si effettua la spending review è la politica che vive beata di lazzi e feste (finché poi qualcuno non finisce in galera).