Lo stato di Washington è dall’altra parte del continente, ma ieri l’orgoglio è arrivato a scaldare le anime fin lì. E anche oltre: ha abbracciato tutta quell’America che per la seconda volta nella sua storia ha deciso di credere a Barack Obama. Debbie Cavitt è la maestra del coro dei bambini e l’election day lo ha seguito alla tv, nella sua First Aime Church, a Seattle. Alla fine è stata festa: “Martin Luther King ha piantato il seme – ha scandito commossa al Seattle Times – e ora la Storia ha fatto il suo corso”. Il sogno annulla le distanze, fa sentire vicini chi ha deciso di continuare a crederci sulle rive dell’oceano Pacifico come a New York, a Washington come a Chicago, dove ieri Obama ha inaugurato davanti alla sua gente il suo secondo mandato da presidente degli Stati Uniti.
Sylvia Williams ha 80 anni. Al McCormick Place, il quartier generale di Obama, è arrivata all’ora di cena con la sua amica Mary, che di anni ne ha 82. Ieri sera hanno disertato l’appuntamento del martedì con la Classy Divas Bowling League, il loro campionato di bocce, per tornare a sognare. “Questa notte mi sento ancora una volta in cima al mondo”, racconta al Chicago Tribune Sylvia, che ha speso le ultime settimane attaccata al telefono e a parlare con i suoi amici del club per convincerli a votare Barack. Il presidente non è più il pastore di folle che nel 2008 prometteva un’America più giusta con i suoi figli più deboli, ma almeno per qualche ora la magia si è ripetuta: “Sono orgogliosa di far parte della storia ancora una volta”, racconta Bridget Turnet, 41 anni. E’ tra le prime a scoppiare in lacrime sugli spalti quando la Nbc dà la notizia sui maxischermi: “Obama è stato rieletto“.
La folla è un animale dormiente che si sveglia all’improvviso. I supporter ballano, si abbracciano, fanno schioccare in aria i loro hi-five. Nella zona riservata agli “Special Guest” siede la famiglia Brantley-Tate. Tre generazioni arrivate da South Holland, Illinois: la nonna Johnnie Tate, 73 anni, sua figlia Rhonda Bradley, 51, e la nipotina Kiara, 18. Per fare campagna a Obama sono arrivate fino a Racine e a Milwaukee, in Wisconsin. “Gli abbiamo dato una mano ovunque servisse – racconta Johnnie al Chicago Suntimes – oggi siamo qui perché Obama è sincero, non è un voltagabbana”. Sottinteso: come Romney. Il sogno sarà anche meno travolgente, ma a Chicago balla il rhythm and blues in strada nel gelo della notte.
Vari gradi di longitudine e di felicità più a est, i salatini erano sistemati da ore sui tavoli. Al Boston Convention and Exibition Center a inizio serata, c’era tanta musica. Poche ore più tardi gli altoparlanti erano muti. Le immagini della festa di Chicago trasmesse sui mega schermi affondano nel cuore come un coltello. Tra le facce tese, nella grande sala cala il silenzio. Per ore Mitt Romney non concede la vittoria in attesa del risultato dell’Ohio, poi affronta i suoi che lo guardano in lacrime: “Prego che il presidente abbia successo nella guida del Paese“. I repubblicani piangono, si abbracciano e non parlano, ma si sfogano sul web: “Non vedo l’ora che il debito raddoppi, che il prezzo del gas salga ancora e che il governo cerchi di portarmi via le mie pistole”, twitta al veleno Logan Schrag.
Presto il boato democratico infiammava New York, dove Times Square era invasa già dalle 10 della sera. Nel cielo, l’Empire State Building si è tinto di blu, il colore dei democratici. La festa riempiva le strade di Harlem, il quartiere nero della Grande Mela: “Obama ha vinto con il cuore – racconta una donna alla radio NY1 – e quando parli con il cuore raggiungi il cuore degli altri. Oggi sono orgogliosa di essere americana”. Nelle stesse ore migliaia di persone festanti si radunavano davanti a Washington. Davanti alla Casa Bianca c’era anche Amir, studente iraniano impegnato in un dottorato di scienza del computer: “Sono contento, temevo di avere problemi di visto con un presidente repubblicano, ma con Obama penso di poter finire i miei studi negli Stati Uniti”.
L’adrenalina ha percorso come mai prima anche le strade della sfera digitale. Twitter ha registrato il record di 20 milioni di tweet nel corso della notte elettorale, facendone l’evento politico più gettonato sul social network nella storia americana. “Ora, da qualche parte, c’è Clint Eastwood che parla ad una sedia vuota”, twitta Ben, mentre un altro utente dà un “consiglio a Romney per il suo discorso: da’ la colpa a Donald Trump“, ricordando i duri toni anti-Obama usati dal miliardario. Quasi chiamato in causa, Trump fa scoppiare il caso: “Obama ha perso il voto popolare ma ha vinto le elezioni. Dovremmo marciare su Washington”, twitta in un impeto di livore. Ma i dati sono parziali, il conteggio finirà con lo spoglio dell’ultimo Stato. Il sogno degli uni per gli altri è un incubo che dura quattro anni.