Non c’è solo la visita della guardia di finanza alla sede nazionale del Partito democratico a Roma. Le indagini della Procura di Bologna sulla segretaria di Pierluigi Bersani, Zoia Veronesi, indagata per truffa aggravata, proseguono a tutto tondo anche nel capoluogo emiliano. Domani a essere sentito dai magistrati della città emiliana sarà l’altro candidato eccellente di questa inchiesta: Bruno Solaroli, l’ex capo di gabinetto del presidente della Regione, Vasco Errani. Solaroli, presidente dell’Anpi di Imola ed ex sindaco della cittadina, ex parlamentare Pci-Pds dal 1987 al 2001, ora in pensione, dovrà rispondere dell’accusa di abuso di ufficio.
A Solaroli è contestato di aver firmato la determina in cui ha nominato Veronesi “dirigente professional” e le ha dato l’incarico di curare i rapporti con le istituzioni centrali e il Parlamento. Un incarico da 150 mila euro “finto“, secondo l’ipotesi per gli inquirenti messo in piedi per tenere Zoia vicino a Bersani, di cui è collaboratrice storica. Lui, Solaroli, si è sempre difeso: “Quella procedura è talmente limpida che non capisco come facciano a parlare di abuso d’ufficio. Dopo due anni e mezzo questa storia spunta proprio oggi, a un mese dalle primarie del Pd. Una concomitanza strana, a uno certi sospetti vengono”, disse al Resto del Carlino di Imola, appena saputo dell’indagine.
L’inchiesta che vede coinvolti Veronesi e Solaroli era partita nel 2010 da un esposto del deputato di Futuro e Libertà, Enzo Raisi, e dal consigliere comunale di Bologna, Michele Facci del Popolo della libertà. La donna, che era dipendente della Regione fino al 28 gennaio 2010, era stata distaccata con un provvedimento della stessa Regione a Roma, dove doveva intrattenere i rapporti con le “istituzioni centrali e con il Parlamento”. Ma prove scritte e materiali e tracce di quel lavoro non se ne erano trovate. La tesi dell’accusa è dunque che Veronesi avrebbe lavorato per altri, ma a spese della Regione.
La posizione con la quale la donna fu inviata nella capitale venne istituita dalla Regione (a firma del capo di gabinetto Solaroli) nel maggio 2008, poco dopo la caduta del governo Prodi II. Durante l’esperienza del Professore a Palazzo Chigi tra il 2006 e il 2008, Veronesi prese una aspettativa dalla Regione e a Roma fu segretaria di Bersani ministro dello sviluppo economico.
Nell’esposto di Raisi che ha dato la scintilla alle indagini si chiede se “è solo una coincidenza il fatto che la Regione abbia istituito una nuova posizione dirigenziale nel maggio 2008, cioè subito dopo la formazione e il cambio del nuovo governo nazionale per permettere alla signora Veronesi di rimanere a Roma, anche dopo il venire meno dell’incarico al ministero?”. Un’accusa pesante: quella cioè di aver creato un posto da dirigente professional, peraltro strapagato, per fare in modo che Veronesi continuasse a rimanere a Roma e a svolgere l’attività di segretaria dell’ex ministro Bersani.
Un indizio di questo presunto giochino deriverebbe da un particolare di non poco conto. Quando Veronesi si dimise dall’incarico pubblico per andare alle dipendenze del partito nel 2010, non venne mai sostituita in quel ruolo che rimase scoperto. Ma Solaroli si è sempre difeso: la segretaria del leader Pd aveva quella qualifica di dirigente professional “fin dal primo gennaio del 2002”. E quello status Veronesi lo mantenne “fino al 2006, quando entrò in aspettativa per seguire Bersani al ministero dello Sviluppo economico”. Nel 2008 Veronesi tornò in Regione: “Ma nel frattempo la sua qualifica era decaduta”. Da qui la decisione di ridargliela, anche se solo su mandato della giunta di Vasco Errani: “Ma per quel provvedimento ho avuto una delibera di autorizzazione della giunta, e una delibera della giunta che approva la mia determina”, ha detto Solaroli.
Non è però certo che Solaroli si presenti in Procura. Il suo avvocato, infatti, Cristina Giacomelli, per quel giorno potrebbe non essere disponibile. L’appuntamento coi magistrati sarebbe comunque rimandato di poco.