“E’ più una rappresentazione storica (e politica) di fatti, persone e circostanze, che non una chiara individuazione di responsabilità penalmente rilevanti”. Una stroncatura, come tante altre arrivate sulla mailing list della Anm dopo il deposito al gip della memoria della Procura di Palermo sulla trattativa Stato-mafia. Diverse le critiche – a tratti anche irridenti – rivolte al lavoro dei magistrati del capoluogo sicialiano. Gli appunti riguardano sia l’impostazione giuridica che l’essenza stessa della memoria.
Tra le prese di posizione più pungenti e ironiche c’è quella Ambrogio Marrone. Il gip di Bari, infatti, prima ironizza sulla pubblicazione del provvedimento sul nostro sito poco dopo il deposito (“L’illustre collega Ingroia dovrebbe essere nominato vice direttore ad honorem o, almeno, corrispondente dal Guatemala o dall’Onu”), poi bacchetta i colleghi sulla scelta del reato contestato agli imputati. Secondo Marrone, al delitto di violenza o minaccia al Corpo politico dello Stato (art.338 del codice penale) si sarebbe dovuto preferire quello previsto dall’articolo 289 che punisce “chiunque commette atti violenti diretti ad impedire al Presidente della Repubblica o al Governo l’esercizio delle attribuzioni o prerogative conferite dalla legge”.
I commento di Marrone si fa poi sferzante, nonché direttamente rivolto ai colleghi siciliani, quando accusa Ingroia di presenzialismo mediatico: “Amici di Palermo, forse tradito dalla fretta di partire per il Guatemala o per i troppi impegni mediatici, l’immenso Collega Ingroia ha condensato troppo il succo della trattativa, sfornando un prodotto che sembra modesto persino ad un umile gip di provincia e che finirà in pasto agli agguerriti difensori degli imputati”.
Più pacate, ma non meno pesanti le osservazioni di altri magistrati. L’ ex consigliere del Csm Carlo Citterio, ad esempio, appunta le sue critiche alla parte della memoria in cui si fa cenno all’ex capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro. I pm scrivono che due personaggi dell’epoca poi morti, l’ex capo della polizia Parisi e l’ex numero due del Dap Di Maggio “agendo in stretto rapporto operativo con l’allora Presidente della Repubblica contribuirono al deprecabile cedimento sul tema del 41 bis”. In tal senso, Citterio fa notare che sarebbe stato preferibile o omettere il nome di Scalfaro o assimilare il suo ruolo a quello degli altri due personaggi.
Non si è fatta attendere la risposta – piccata – dei pm di Palermo che, oltre a giustificare le loro scelte giuridiche, hanno criticato “i sarcasmi, i sorrisini, il pesante e gratuito dileggio”. “Tutti – hanno scritto i magistrati del capoluogo siculo – hanno diritto al rispetto del proprio lavoro e della loro funzione, perfino i magistrati della Procura di Palermo, nessuno escluso”.