Il cancelliere in missione a Londra ha cercato di lavorare ai fianchi del premir britannico per avere il via libera inglese al bilancio Ue 2014-2020, dopo il veto minacciato al summit di fine novembre. Ma oltre la Manica pesa sempre di più la voce di chi vorrebbe un'uscita dall'Unione
Se la situazione economica della Grecia mette in pericolo la tenuta dell’Euro, la posizione politica della Gran Bretagna sul bilancio Ue mette a rischio l’intera Unione europea. Dopo la visita della Cancelliera tedesca Angela Merkel ieri sera a Londra dove si è recata per incontrare a tu per tu il Premier inglese David Cameron, la rottura britannica nei confronti di Bruxelles diventa sempre più probabile. Argomento del contendere è il bilancio Ue per il prossimo periodo di programmazione 2014-2020 ma anche l’unione bancaria europea, vista dalla city come una minaccia ai propri interessi. Ma andiamo per ordine.
Ieri sera Angela Merkel ha fatto visita al numero 10 di Downing Street per un incontro a porte chiuse. Sulla strada ha fatto anche una capatina al Parlamento europeo, giusto una visita di cortesia dal momento che all’incontro con i presidenti dei gruppi politici e gli eurodeputati non ha fatto altro che esporre la linea tedesca sulla gestione della crisi facendo spallucce a chi le rimproverava la troppa austerità imposta a certi Paesi. Ma il vero obiettivo della Merkel era appunto Londra, dove ha cercato di limare la posizione di Cameron sul bilancio Ue 2014-2020 e scongiurare l’ipotesi di un veto britannico alla riunione del Consiglio europeo (capi di Stato e di governo) del 22 e 23 novembre. Un summit chiesto dalla Germania per parlare esclusivamente di soldi.
Cameron, spinto dai suoi tories più che mai euroscettici, a fare un passo indietro però non ci pensa nemmeno: “Nella migliore delle ipotesi il bilancio va tagliato, nella peggiore almeno congelato”. Si tratta appunto dei 1.033 miliardi di euro (1,08 del Pil lordo dell’intera Ue) previsti dall’Unione per far funzionare l’intera macchina comunitaria dal 2014 al 2020. Il grosso di questi soldi andrebbe in investimenti in giro per l’Europa sotto forma di fondi di coesione, di sviluppo rurale, incentivi alla ricerca e programmi di studio (come l’Erasmus) e così via.
Sta di fatto che alcuni Paesi Ue, in primis proprio la Gran Bretagna, di aumenti non ne vogliono proprio sentir parlare. Anzi vorrebbero addirittura un taglio di circa 200 miliardi alla luce della crisi che sta costringendo la maggior parte dei governi nazionali a stringere la cinghia. Diversa la posizione della Germania. Secondo la Merkel, più che sulla riduzione, bisogna concentrarsi sulla “lotta alle inefficienze”, dal momento che di questo bilancio “l’Europa ha bisogno”.
Ma le pressioni interne alle quali è sottoposto Cameron sono fortissime. In Gran Bretagna era da anni che non soffiava un vento euroscettico così forte, almeno a giudicare dalla voglia di non dare più un penny a Bruxelles. A chiedere di tagliare i viveri all’Ue, infatti, non è più solamente lo UK Independence Party di Nigel Farage (eurodeputato del gruppo Efd, dove rientra anche la Lega Nord), ma una parte sempre più consistente di tories, che la settimana scorsa hanno fatto andare sotto la maggioranza alla Camera dei Comuni proprio sul voto del bilancio Ue. Cameron si trova quindi stretto tra due fuochi: da una parte i membri conservatori del suo stesso partito, che vogliono una rinegoziazione dei contributi pagati dal Regno Unito all’Ue, e dall’altra gli alleati di governo liberali di Nick Clegg, per i quali l’Ue non si tocca, soprattutto per quanto riguarda il mercato interno.
Proprio di fronte a questa voglia di “thatcherismo” dirompente (Margaret Thatcher fu l’artefice del cosiddetto “rebate” ovvero l’accordo stretto con Bruxelles negli anni Ottanta che vede la Gran Bretagna ricevere dall’Ue un risarcimento per i fondi europei destinati all’agricoltura non utilizzati), Cameron ha minacciato nelle scorse settimane di porre il veto al bilancio europeo al summit di fine novembre, una decisione che potrebbe essere il preludio all’uscita definitiva della Gran Bretagna dall’Unione o almeno a un suo radicale ridimensionamento di membership.
Ecco allora il motivo della visita londinese della Merkel, che per farsi capire bene dal suo collega britannico si è avvalsa di un traduttore (nonostante l’inglese lo parli benissimo): “Non arriveremo a una decisione questa notte, ma vogliamo far proseguire i negoziati in modo amichevole e nell’interesse di tutti”. Precedentemente a Bruxelles, in merito all’uscita della Gran Bretagna dall’Ue, aveva risposto che “su un’isola si può essere felici, ma non da soli”. Il fatto è che al di là della Manica c’è chi la pensa diversamente.
@AlessioPisano