Adesso arriva il difficile. Sono le prime parole del premier conservatore Antonis Samaras all’uscita dal parlamento ateniese dopo il voto che, per soli due sì, ha dato il via libera alla misura (la terza in tre anni) della troika che comporterà tagli da 18,5 miliardi di euro entro il 2016, per ottenere l’ennesimo prestito ponte da 31 miliardi, ma salverà le pensioni della casta ellenica, dal momento che i tagli saranno per coloro che saranno eletti alle prossime elezioni.
Mentre su piazza Syntagma si stava spegnendo la guerriglia urbana che ha portato a violenti scontri tra i centomila manifestanti e le forze dell’ordine, con lancio di molotov e gas lacrimogeni, poco prima di mezzanotte una maggioranza risicatissima (servivano 151 sì) fa passare i desiderata di Bce, Ue e Fmi con 153 voti a favore, (conservatori e socialisti), contrari 128 (le opposizioni di Syriza, comunisti del Kke, Indipendenti di destra, Alba dorata e Verdi), e 18 astenuti. Ovvero i deputati del Dimar di Fotis Kouvellis, nell’occhio del ciclone, dal momento che da un lato sostengono la maggioranza di Samaras e Venizelos (con la velata promessa per il leader della sinistra democratica di essere promosso vicepremier) dall’altro non hanno votato in aula. Hanno votato “no” anche alcuni deputati della maggioranza, tra Nea Dimokratia e Pasok e sono stati subito espulsi dai due partiti, come il presidente della Camera ha annunciato un minuto dopo la votazione.
Sette le fughe dal campo del “sì”: Kozani, Kasapidis Koutsoukos, Bolaris, Gerekou, Kassis e Skandalidis. La seduta del parlamento ellenico è durata 14 ore e più volte interrotta non solo dall’acceso dibattito in un’aula trasformata in un vero e proprio bazar, ma anche a causa della votazione per appello nominale sulla costituzionalità del memorandum (respinta) invocata dal Syriza di Tsipras, dal momento che il piano incide sui diritti costituzionali dei lavoratori. Attimi di tensione quando il deputato del Syriza Lafazanis ha preso la parola urlando contro lo speaker della Camera dal momento che all’esterno del parlamento manifestavano anche i dipendenti della Camera stessa che saranno interessati dai tagli, con una carenza di personale proprio all’interno dell’Aula al momento di verbalizzare i voti. Hanno votato, anche se non presenti e in virtù di un non meglio precisato articolo 70 comma A, anche quattro deputati sottosegretari che erano in missione all’estero. Per tutta la durata della votazione sui social network si è scatenata la solidarietà degli altri cittadini europei (francesi, spagnoli, italiani, portoghesi) ai centomila manifestanti che si trovavano in piazza Syntagma, eletta simbolo di resistenza e che sarà luogo ideale per la mobilitazione europea del prossimo 14 novembre quando sciopereranno in contemporanea tutte le altre capitali “Piggs”.
Ma ecco cosa prevede il pacchetto approvato: via tutti i bonus extra per pensionati e dipendenti statali; pensioni giù del 25%, al pari degli stipendi speciali (meno 27%) per polizia, magistratura, militari, personale medico degli ospedali statali, docenti universitari, diplomatici; licenziamento di 45mila statali in tre anni (i primi duemila già entro gennaio); eliminazione della previdenza sociale sostituita da una sorta di indennità calcolata in base al reddito; innalzata fino a 67 (di due anni) l’età pensionabile, abolite le pensioni di parlamentari e autorità comunali ma solo quelli eletti d’ora in poi, facendo salva la casta che fino a oggi ha governato e che continuerà ad usufruire del cumulo di più pensioni; un piano di privatizzazioni che sta facendo discutere dal momento che un gigante pubblici come l’Opap (il totocalcio ellenico) che ha un giro d’affari da 300 milioni annui, è stato messo sul mercato per appena cento milioni di euro. E che ha provocato la dura reazione anche da parte del mondo culturale del paese.
Questa mattina il celebre compositore Mikis Teodorakis dal canale privato Antenna si è scagliato contro una “classe dirigente inetta che ha svenduto il paese”, mentre “non una parola hanno speso sui giacimenti di petrolio, di metano e di oro che abbondano in Grecia, da Creta alla penisola calcidica e di cui nessuno si è occupato con una politica veramente nazionale”. Alludendo al fatto che quelle risorse saranno da oggi in poi ad appannaggio del “conquistatore straniero”. E se il premier ribadisce che la Grecia con quel voto ha fatto “un grande e decisivo passo verso la guarigione”, Teodorakis replica che il passo conduce invece verso il baratro. E domenica notte si replica: all’ordine del giorno il voto sul bilancio dello stato.
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