“In un ecosistema digitale sempre più interconnesso, dagli account dei social media a quelli bancari, all’accesso ai diversi dispositivi quali desktop, laptop, smartphone e tablet, la password resta, ancora oggi, la frontiera della sicurezza informatica e della protezione della privacy. È necessario quindi sceglierla con maggior cura”: sono state queste le parole conclusive degli esperti di sicurezza informatica dell’azienda Eset Nod32. Al centro del dibattito una nuova ricerca condotta da Harris Interactive per conto della casa di software antivirus che ha preso in esame l’esperienza di oltre due mila persone oltre i 18 anni. I dati confermano un andamento già osservato in precedenza: i nativi digitali, i giovani che in teoria dovrebbero essere i più esperti e ferrati sul web, sono invece la categoria più imprudente. Molti di loro utilizzano password semplici, stessi username e password per numerosi servizi e, all’eccesso, anche lo stesso pin per bancomat e schede telefoniche. Di diversa tendenza invece gli over 55, decisamente più attenti nella ricerca di password sofisticate che alternino numeri a caratteri speciali e non solo lettere.
Tra i 18 e i 34 anni, un giovane su quattro non presterebbe alcuna attenzione alla scelta della password e il 12% di loro avrebbe impostato, per comodità o pigrizia, lo stesso pin di accesso del bancomat, anche per o sblocco della scheda del cellulare. Il 77% degli studenti presta attenzione alla scelta della password, mentre sale all’86% la percentuale dei liberi professionisti e pensionati. I più virtuosi in questa curiosa ricerca risultano essere gli over 55, quella generazione che si è dovuta adattare ai computer e al mondo di internet, piuttosto che essere nati in un periodo in cui la rete è ormai il pane quotidiano per il lavoro e la comunicazione. Solo il 43% di loro utilizzerebbe infatti le stesse informazioni d’accesso per diversi account personali, un dato che sale invece fino al 49% per i giovani under 34. Differenze si notano anche a seconda della condizione famigliare degli intervistati: secondo l’analisi le persone sposate farebbero nettamente più attenzione alla scelta delle loro password rispetto ai single con uno scarto del 12% (c’è chi insinua sia per mantenere una certa privacy nei confronti del partner); stesso discorso anche per chi ha una retribuzione di un certo spessore contro chi percepisce redditi più bassi: in questo caso si passa dall’88% ad appena il 79%. La ricerca non riesce però a fornire una spiegazione univoca sul fenomeno, non si capisce insomma se l’imprudenza sia dettata da una mancata consapevolezza dei pericoli online o se sia solamente il frutto di una nuova “pigrizia 2.0”. I dati confermano inoltre un precedente sondaggio condotto da ZoneAlarm (http://www.zonealarm.com/products/downloads/whitepapers/generation_gap_research_2012.pdf) tra Germania, Australia, Canada, Stati Uniti e Regno Unito: i giovani esperti in tecnologia sovrastimerebbero la loro conoscenze sulla sicurezza informatica. Questo aspetto li porterebbe ad abbassare il livello di attenzione dove solo 1 su 3 riterrebbe la sicurezza informatica un argomento importante a livello tecnologico.
“Ai cosiddetti nativi digitali manca la percezione del rischio, soprattutto in ambito informatico. Trovano molta della tecnologia che utilizziamo, scontata, naturale, semplice, qualcosa che è normale e sempre esistita. – è il commento di Alessio Pennasilico, membro del Comitato tecnico scientifico di Clusit, Associazione italiana per la Sicurezza informatica – Non aver assistito alla nascita di alcune tecnologie, ed ai problemi ad esse legate inizialmente, porta molti giovani a trascurare alcune delle misure più basilari di sicurezza, non tanto da un punto di vista tecnologico, quanto da un punto di vista comportamentale. Anche la spesso assente esperienza di utilizzo dell’informatica in azienda non li ha esposti ad un processo teso all’aumento della consapevolezza che molti adulti hanno sperimentato. Ci troviamo così a dover gestire orde di giovani che utilizzano Internet per più tempo e ne conoscono, e sfruttano, molti più servizi dei propri genitori, senza però sentire la necessità di diversificare la propria password sui diversi siti utilizzati, né di renderla sufficientemente complessa”. Una sicurezza che non passa solamente attraverso la protezione dei propri account, ma va ben otre la consapevolezza di quello che si sta davvero facendo sulla rete: “Inutile sottolineare poi – continua Pennasilico – la totale incoscienza, osservata dal punto di vista di un adulto, nel divulgare informazioni tramite i social network, dimenticando non solo chi le potrebbe leggere, ma che quelle informazioni resteranno li scolpite per molti anni nella migliore delle ipotesi. Nativi digitali significa quindi una maggiore attitudine all’uso della tecnologia, ma troppo spesso questa “naturalezza” è completamente scevra della consapevolezza necessaria per proteggere le proprie informazioni”.