Voglio annotare due frasi che ho raccolto, una all’inizio della notte di Obama, l’altra alla fine.
A Roma, la più importante notte elettorale in molti anni è iniziata in un albergo dove l’ambasciatore americano aveva riunito alcune centinaia di persone (soprattutto americani a Roma) per vedere in diretta l’evento. Ma prima ha fatto un discorso, gentile e diplomatico, da ambasciatore. Salvo una cosa. A un certo punto ha detto: “Queste elezioni sono costate 6 miliardi di dollari. É una cifra davvero eccessiva. Troppi soldi e troppo poche idee”. In quell’istante, senza sapere il risultato che sarebbe venuto dopo alcune ore, l’ambasciatore Thorne ha spiegato il senso, ma anche la gravità di ciò che stava per concludersi, quella notte, in America: una cifra immensa riversata sulle elezioni americane con un unico scopo, rimuovere Barack Obama.
Il fatto è che Obama ha affrontato la rischiosissima prova della rielezione (essere presidente una volta sola è un segno che resta, non gradevole, nella storia del Paese e che si fa notare persino ai bambini a scuola) facendo il contrario di ciò che un buon manager o stratega avrebbe dovuto suggerirgli: non ha ceduto su nulla, non ha ridisegnato la sua immagine secondo un profilo più accettabile per il probabile nemico. Non ha lasciato cadere gli aspetti più contestati delle cose fatte o di quelle da fare. Qualcuno avrà fatto caso a una piccola frase del suo discorso che, da sola, lo distingue da tutti i predecessori. Eccola: “L’America è di bianchi e di neri, di nativi americani e di ispanici, di giovani e di vecchi, di abili e disabili, di etero e di gay”. Mai detto prima nella storia americana. Nuove minoranze entrano, accettate alla pari nel “melting pot”, la grande fusione di religioni e di razze che a mano a mano ha preso a bordo gli esclusi.
Ma c’è un altro aspetto che attribuisce a Barack Obama un ruolo unico, finora, nella politica americana. Per salvare la sua legge per l’assistenza medica gratuita gli hanno chiesto un piccolo ritocco: niente aborto, non importa se terapeutico o no. L’aborto è omicidio (è la visione della Chiesa cattolica e di alcune potenti chiese fondamentaliste) e lo Stato non può finanziare omicidi. Di colpo il Partito Repubblicano è diventato religiosissimo, ha tentato di impadronirsi di una massa di poveri e di indurli a votare contro se stessi.
Tutto ciò Barack Obama lo conferma nel suo discorso di vittoria, nel modo più chiaro possibile. Prima frase da ricordare: la democrazia è fondata sull’uguaglianza. Il valore di questa affermazione è sconvolgente perché è un gesto che respinge la gara fra privilegiati. Seconda frase. Obama racconta la storia di un padre che lo ha avvicinato, nell’Ohio, per parlargli della sua bambina di otto anni. La bambina è malata di leucemia. Dunque è condannata a morte, perché, neppure vendendo le poche cose che possiede, il padre potrebbe pagare le cure e gli ospedali che la salverebbero. Obama racconta, perché la sua folla raccolga l’impegno: non si abbandona nessuno. Terza frase: “Voi avete fatto di me un presidente migliore, perché noi siamo una famiglia e nessuno va avanti da solo. O insieme o niente. Questa è l’America”.
E’ importante fare molta attenzione al modo in cui Obama dice “famiglia”. Non intende un family day in cui si certificano certe vite e se ne scartano altre, e ciascuno, per famiglia intende i propri congiunti. Qui famiglia sta per popolo, sta per nazione, e anche per Stato.
Poi Obama affronta l’idea di eccezionalismo. È una strana definizione con due facce. La prima è un vanto, che non può non essere caro a Obama perché significa: noi non abbiamo alcun passato in comune. Noi abbiamo in comune il futuro e, in questo, siamo l’unico popolo al mondo. Ma il secondo significato di questo strano e misterioso fattore della costruzione dell’America è: nel momento in cui ti vanti di essere eccezionale, l’eccezionalità scompare.
Questo vale soprattutto per la potenza. Obama la concepisce come diplomazia e come politica, non come forza. E così comincia la seconda epoca Obama, ora l’ancor giovane presidente degli Stati Uniti definisce la sua immagine, vita e lavoro, non per un sondaggio, ma per la Storia.
Il Fatto Quotidiano, 8 Novembre 2012