L’Autorità garante per le Comunicazioni non è stata eletta con i doverosi criteri di trasparenza e indipendenza e per questo è illegittima. Né è convinta Open media coalition, l’associazione per la difesa della libertà e del pluralismo nel mondo dell’informazione. Niente di nuovo fin qui. La notizia è che la coalizione ha presentato un ricorso al Tar per chiedere l’annullamento della composizione dell’Agcom. Ed è la prima volta che la società civile intende sindacare davanti ad un giudice la lottizzazione di un’Autorità indipendente. Non uno scherzo perché se la giustizia amministrativa ammettesse le richiesta di Open media tutti gli atti recenti dell’Agenzia rischierebbero di risultare illegittimi, a iniziare dalle procedure del beauty contest, la famosa gara per l’assegnazione delle frequenze televisive del digitale terrestre. Ma cos’è che contesta la coalizione dei media digitali? “Non la competenza o l’esperienza dei singoli commissari”, si legge nella nota, ma i criteri adottati dalle Camere per la nomina dei componenti dell’authority deputata a vigilare sul sistema nazionale delle comunicazioni.
Un’elezione – secondo i suoi detrattori – fatta con il manuale Cencelli, che al posto della meritocrazia e dell’esperienza ha preferito accettare i “meccanismi di spartizione” partoriti dalle segreterie dei partiti. E si sa, quando si parla di televisione, frequenze e web bisogna che gli arbitri siano limpidamente super-partes, soprattutto in Italia, il paese del conflitto d’interesse e del clamoroso ritardo nello sviluppo di Internet. “L’autorità garante svolge un ruolo fondamentale” in un paese come il nostro “cronicamente ammalato di assenza di pluralismo, scarsa libertà d’informazione e gravissimo ritardo nella diffusione di Internet”. E qui casca l’asino, perché in un contesto come questo, i guardiani del sistema delle comunicazioni dovrebbero fare gli interessi dei cittadini e non quelli dei partiti. Quindi? Meglio cambiare commissari.
“Si tratta dell’epilogo della campagna Vogliamo trasparenza, lanciata con Open media coalition, – spiega Guido Scorza, tra gli ideatori dell’iniziativa – in cui chiedevamo al Parlamento, che per legge ha il compito di garantire procedure di nomina trasparenti, di raccogliere i curriculum affinché si potessero valutare le competenze dei candidati. Ma i cv sono stati distribuiti il giorno prima della votazione”. Il risultato è stato lo stesso di tutte le volte precedenti: “Ha vinto la lottizzazione. I partiti, Pd, Pdl e Lega, hanno nominato i ‘loro’ candidati in Agcom e Privacy“. Il ricorso, poi, aggiunge Scorza, arriva in un momento cruciale. Ovvero a ridosso della campagna elettorale per le politiche 2013, dove l’Agenzia dovrà occuparsi anche di par condicio. In realtà “a essere messi sotto inchiesta sono i presidenti di Camera e Senato, perché stava a loro gestire il procedimento in modo che non venissero scrutinati i cv a meno di 12 ore dal voto. E invece le indicazioni sono arrivate direttamente via sms dal gruppo di appartenenza”.
Oltre alle associazioni (Agorà Digitale, Anso – Associazione Nazionale Stampa online, Femi – Federazione dei media digitali indipendenti, Società Pannunzio per la libertà di informazione), gli unici politici a firmare il ricorso sono stati Felice Belisario, capogruppo dell’Italia dei Valori al Senato, e il deputato Giuseppe Giulietti di Articolo21. “Sulla trasparenza delle nomine mi sono sempre esposto in prima persona – spiega Belisario -. L’Idv non partecipa alla lottizzazione delle Autorità di garanzia che, per definizione, devono essere indipendenti dai partiti”. E perché nessun altro esponente politico ha firmato il ricorso? “A che titolo potevano farlo quando i partiti di riferimento hanno provveduto al saccheggio delle authority?”, conclude il senatore.
Ma cosa ne pensano i diretti interessati? Il commissario Maurizio Decina, contattato dal fattoquotidiano.it, è d’accordo che i criteri fissati per la nomina dei componenti siano fatti male, “ma se non cambi la legge c’è davvero poco da fare”. E non andategli a dire che lui risponde ai diktat dei partiti: “Io non sto a sentire il Pd, ma la mia testa. Altrimenti non avrei mai accettato la proposta di diventare commissario”.