Una pellicola tagika sull'evaporazione del lago d'Aral apre la manifestazione. C'è anche il corto di Kaurismaki in un'opera collettiva. Ma la sensazione è che il direttore artistico abbia tenuto i "piatti forti" per i prossimi giorni
Un docu-fiction molto individuale, incentrato sulla depressione di un direttore della fotografia (A Walk in the Park, di Amos Poe); una storia collettiva non solo nella costruzione ma anche nella tematica trattata (Centro Historico, quattro corti diretti da Aki Kaurismaki, Pedro Costa, Victor Erice e Manoel de Oliveira); una storia di tanti portata avanti da uno solo (Aspettando il Mare, di Bakhtiar Khudojnazarov); una storia d’amore tra due persone provenienti da mondi diversissimi (Main dans la main di Valérie Donzelli); e un thrilleraccio divertente con un serial killer irresistibile per il quale è difficile non fare il tifo (Lesson of the Devil, di Takashi Miike).
Con qualche contraddizione si apre così il primo giorno della settima edizione del Festival Internazionale di Cinema di Roma. Marco Müller ci aveva abituato, nei suoi otto anni alla Mostra di Venezia, a film d’apertura scoppiettanti, e invece qui a Roma ha fatto una cosa che non aveva mai fatto prima: ha aperto con un film non di richiamo, Aspettando il Mare di Bakhtiar Khudojnazarov. Volendo rispettare il proprio punto d’orgoglio di presentare solo anteprime mondiali, e con solo pochi mesi di lavoro a disposizione dopo la tardiva nomina, ha composto un programma con ciò che era rimasto. Il film di Khudojnazarov racconta l’evaporazione del lago d’Aral, e il viaggio di un uomo nella sabbia che ha sostituito l’acqua. L’apice della carriera per il regista tagiko, ma come film d’apertura risulta piuttosto debole.
Mains dans la main di Valérie Donzelli è una graziosissima e surreale storia d’amore d’ambiente ballerino che vede l’amore tra due personaggi agli antipodi: lui è un ragazzo di campagna con la passione per lo skateboard, lei è la direttrice della scuola di danza classica dell’opera di parigi. Una magia inspiegabile li costringerà a vivere “mano nella mano”.
Raramente i primissimi film presentati nel Concorso sono i migliori, e l’impressione è che gli assi nella manica debbano ancora essere giocati. Nel caso di Lesson of the Devil, Takashi Miike non sembra all’altezza dei suoi ultimi lavori in concorso a Venezia e a Cannes: ci si aspettava di più da quello che viene considerato un vero e proprio pupillo di Müller. La storia è quella di un insegnante serial killer: una sceneggiatura che non è un granché, ma un protagonista straordinario, sensuale e carismatico, interpretato da Hideaki Ito.
E’ quindi la sezione CinemaXXI a tenere banco, in attesa che il Concorso esploda definitivamente dopo una partenza più scialba di quanto ci si aspettasse. Apre Centro Historico: quattro storie, quattro grandi registi europei alle prese con la città portoghese di Guimãraes. Un film non eccezionale, ma da vedere anche solo per l’incredibile prova del regista centoquattrenne Manoel de Oliveira, che scherza, ride e realizza un cortometraggio spiritoso. L’eroe del corto di Aki Kaurismaki è un ristoratore triste e solo, ma pieno di dignità. Noioso il corto di Pedro Costa, mentre l’episodio più bello è quello di Victor Erice, un documentario/intervista agli ex lavoratori di una fabbrica tessile chiusa da dieci anni.
Poteva essere una bella idea per un corto, e invece è stata applicata male come lungometraggio, quella su cui si basa A Walk in the Park di Amos Poe, docufiction psichedelico sulla vita traumatica di un direttore della fotografia di horror di serie B americani, Brian Fass, che ha un rapporto molto turbolento con la madre. La famiglia americana ricca e in crisi viene raccontata dal cantore della No Wave newyorkese con un montaggio digitale caotico e ripetitivo, e meno coraggio di quanto si vorrebbe far credere.
Mentre, a Festival già iniziato, i lavori sono ancora in corso e le strutture sono ancora in allestimento (in spazi che sembrano decisamente compatti), il presidente della Fondazione Cinema per Roma Paolo Ferrari e il direttore artistico del Festival Marco Müller hanno presentato le giurie – e da subito si nota una delle novità portate da Venezia dal direttore: scompaiono le poltroncine, tornano le austere scrivanie (senza purtroppo targhette). Nell’introdurre l’evento a una stampa fin troppo silenziosa, lo stesso Ferrari ha messo subito in chiaro che “ora finiscono le chiacchere, parlano i film”. Il commento è ovviamente volto a placare le polemiche che hanno accompagnato e seguito l’insediamento di Müller, il quale ha invitato a tirare le somme sabato 17, quando si terrà una conferenza proprio sui numeri del Festival.
La conferma sul calo delle vendite dei biglietti però c’è: -15% rispetto all’anno scorso. Ma siamo solo all’inizio.
a cura di badtaste.it – il nuovo gusto del cinema