La domanda se l’era posta il Financial Times tedesco (“il mal di testa dei cinque miliardi di bond”), e la risposta del premier Antonis Samaras arriva a stretto giro. La Grecia emetterà titoli di Stato a brevissimo termine per rimborsare i 4,1 miliardi di bond in scadenza il 16 novembre ed evitare così un default sul debito. La decisione disperata del primo ministro ellenico, considerati i tassi di interessi che saranno applicati, è anche figlia del fatto che nelle ultime ore si è allontanata la possibilità che l’Eurogruppo sblocchi la tranche di aiuti da 31 miliardi il 12 novembre, così come ipotizzato inizialmente e nonostante il parlamento abbia licenziato in una seduta fiume le misure richieste dalla troika. Atene metterà in asta bond a uno e sei mesi per un totale di 3,125 miliardi di euro (i maligni dicono a condizioni capestri). E anche perché i leader della zona euro non sono riusciti a superare le loro differenze con l’Fmi su come ridurre il debito crescente greco. Il nuovo ritardo spinge in Grecia a rischio default ecco il perché della mossa di Samaras. Tuttavia, in conformità con i funzionari coinvolti nei negoziati (forse domenica notte in contemporanea con il voto sul bilancio dello stato arriverà il report finale della troika), le posizioni degli istituti di credito europei su quanto grande deve essere la riduzione del debito greco e soprattutto su chi ne sosterrà il peso, sono ancora lontane da quelle del Fondo monetario.
Secondo un funzionario della Bce citato dal quotidiano finanziario l’Eurotower resiste sul rimborso e spinge tutte le parti per raggiungere un accordo. Ma il pollice in giù resta quello da parte dell’Fmi, che non crede alla capacità del paese di tornare a crescere, inoltre gli importi da riscuotere dalle privatizzazione di 50 miliardi di euro (denaro che verrà riutilizzato per ricapitalizzare il sistema bancario greco) sono ben lontani dall’essere disponibili, in quanto chi compra cerca di farlo al ribasso. Il risultato? Una netta differenza tra di vedute tra Bruxelles e Washington sul debito greco del 2020, (diletta fra il 5 o 10% del Pil). Per questo i negoziati sono ancora in una fase molto complessa in quanto l’Fmi insiste sul fatto che il debito greco dovrebbe essere ridotto al 120% del Pil nel 2020, mentre la Commissione europea sta cercando di rilassare il target di riferimento, raggiungendo il 125% del Pil nel 2022. Secondo fonti comunitarie se i negoziatori dovessero essere costretti ad accettare la posizione del Fmi, i paesi della zona euro potrebbero registrare perdite sui prestiti concessi alla Grecia. Un dato che avrebbe conseguenze politiche precise, come dimostrano già le reazioni reiterate del parlamento tedesco e di quelli del versante nordico dell’Ue.
L’auspicio a questo punto, scrive il Financial Times, è che le misure di riduzione del debito siano limitate alla riduzione dei tassi sui prestiti da 150 punti base (1,5 punti percentuali) a 80 punti base (0,8 punti percentuali) per consentire ai titoli greci un riequilibrio, essendo stati comprati a prezzi inferiori al loro valore nominale. Allo stesso tempo i funzionari europei lasciano aperte due questioni. In primo luogo garantire un download automatico come clausola di diritto a nuove misure, e in caso di eventuali discrepanze nell’esecuzione del bilancio e di conseguenza alleggerendo il carico sui gruppi a basso reddito; in secondo luogo, la consultazione in corso sulle caratteristiche del conto speciale su cui andranno versati gli aiuti. A questo punto, scrivono oggi molti commentatori attenti alle sirene finanziarie della City e di Wall Street, l’approvazione del memorandum con soli due voti in più del necessario non è garanzia di stabilità per un esecutivo che al suo interno potrebbe essere scalfito da “terremoti” politici o giudiziari.
Inoltre i funzionari del ministero delle Finanze stanno valutando attentamente anche le parole di chi, nel continente, non conta poi tanto poco come il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble che ventiquattr’ore fa aveva detto: “Ho paura che la prossima settimana sarà troppo presto per prendere una decisione sulla Grecia”, cambiando di fatto le regole del gioco e facendo assumere all’Eurogruppo del 12 novembre prossimo il ruolo di un ennesimo test per il ministro delle Finanze, Yannis Stournaras, che in verità all’uscita del Parlamento dopo il voto era sembrato tra i meno entusiasti del governo. E anche Bloomberg ha scritto che gli aiuti alla Grecia “saranno ritardati di diverse settimane”.
Certo è che sono in molti a scommettere che quella di Samaras sia l’ultima (e rischiosissima) mossa, attuata in attesa che la troika ultimi il suo step di valutazioni prima di terminare la missione ad Atene e magari, come qualcuno teme, replicarla a Nicosia, Madrid o Lisbona. “Non si può ignorare il rischio per la stabilità sociale dai tagli” scrive nell’editoriale di oggi il Financial Time tedesco, secondo cui quando si inizieranno ad applicare le nuove misure in una fase di perdurante recessione alte saranno le possibilità di ribellione sociale. “Le anime del paese sono affilate e ogni nuovo pacchetto le spinge più in profondità verso la disperazione”. E ancora, “la Grecia è in caduta libera e l’atmosfera diventa sempre più radicale”. Azzardando l’ipotesi di caos interno nel paese già dal prossimo gennaio a causa dei tagli a stipendi e pensioni. Allo stesso tempo sul New York Times si legge che “la Grecia ha bevuto la cicuta” e se da un lato il Parlamento greco ha fatto ciò che doveva fare, dall’altro non si possono ignorare le terribili conseguenze di un “no”, ma al contempo non si può respingere la minaccia alla stabilità sociale causata da questi tagli. Aggiungendo che quasi tutto il pacchetto di austerità è stato “provato prima ed è fallito miseramente, per questo i Greci hanno perso la fiducia in un sistema politico che non è riuscito a proteggerli dalla rovina finanziaria”. E conclude. “Abbiamo il sospetto che molti dei creditori sanno che la risposta non è più solo nell’austerità, fino ad ora non contestata dal leader della più forte economia europea, la cancelliera tedesca”.
Ecco allora tornare alle parole del Financial Times, quel “rompicapo” che sta togliendo il sonno a tutte le cancellerie europee: perché i conti proprio non tornano. E se Berlino ha già chiuso ad altri strappi per trattenere obtorto collo la Grecia nell’eurozona, Mario Draghi annuncia che è disposto a fare sforzi supplementari per alleggerire la situazione di Atene. Che significa addebitare il gravoso fardello ad altri governi della zona euro.
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