Sono arrabbiati, anzi arrabbiatissimi. Nonostante i sorrisi e il colorato corteo che a forza di musica e canti li ha portati a protestare fino in Piazza Maggiore, sotto il Comune di Bologna. Sono i 130 nigeriani arrivati in Italia durante la cosiddetta “emergenza profughi” della guerra di Libia, e ora ospitati nel centro di accoglienza dei Prati di Caprara, il più grande dell’Emilia Romagna. Hanno chiesto diritti, dignità, e un futuro in Italia, “perché a fine dicembre scadranno tutti i nostri permessi e se non si farà qualcosa finiremo clandestini e senza casa”. Un problema che non riguarda certo le istituzioni locali, visto che tutte le decisioni in questo campo vengono prese a Roma. A riguardare Bologna invece il modo con cui sono stati spesi i soldi usati per accoglierli. Quaranta euro lordi a persona, estendibili a 46, che ogni giorno sono stati dati non a loro, ma a chi si è occupato della loro accoglienza. In questo caso la Croce Rossa Italiana, che ai Prati di Caprara ha organizzato 17 mesi fa una sorta di centro di accoglienza.
“Vivono in quello che loro stessi chiamano slum“, attacca l’associazione bolognese Ya Basta, che da tempo segue il caso dei 130 nigeriani, e che oggi assieme agli attivisti del centro sociale Tpo ha sfilato assieme a loro. “Da quello che ho visto e sentito posso dire che il loro trattamento è stato davvero poco umano”, ha raccontato il consigliere regionale Roberto Sconciaforni della Fed, anche lui in manifestazione. Al megafono, mentre il corteo percorreva le poche centinaia di metri di via Indipendenza, c’è chi ha chiesto spiegazioni all’assessore al welfare del Comune di Bologna, Amelia Frascaroli, “Assessore basta silenzio”, e chi ha chiamato in causa la Croce Rossa. “Che ve ne siete fatti di tutti quei soldi?”
In tutto quasi tre milioni di euro, una cifra considerevole che avrebbe dovuto garantire ai profughi non solo vitto e alloggio e vestiario, ma anche assistenza legale e burocratica, corsi di lingua, mediazione interculturale, un servizio di primo orientamento. Il tutto con l’assistenza di personale specializzato. “Servizi che non sono stati forniti se non attraverso volontari e in maniera intermittente. Corsi di italiano ce ne sono stati, ma senza continuità e il risultato è che loro ancora la nostra lingua non la parlano”, spiega Neva Cocchi di Ya Basta.
“Non possiamo dire che il nostro centro sia esente dai problemi, considerando anche che la struttura ci è stata assegnata per un’emergenza che è continuata per 18 mesi – spiega Michele Camurati, responsabile per la Croce Rossa del centro di accoglienza – ma noi i servizi previsti li abbiamo sempre forniti, appoggiandoci ad esempio alla rete di associazioni di volontariato presenti in città. Abbiamo organizzato corsi di italiano e dato assistenza legale attraverso l’associazione Al Sirat”. Ad Al Sirat, sportello medico-giuridico di base al centro sociale XM24, confermano tutto, specificando però di essere stati ingaggiati dal Comune di Bologna con fondi della Provincia, e per un progetto limitato che non ha potuto fornire assistenza a 41 dei 130 profughi. Gli altri sono stati presi in carico da altre associazioni e in parte, in un secondo tempo, dai volontari di Avvocati di strada quando. Come dire: ai 40 euro al giorno bisognerebbe aggiungere il costo dell’assistenza fornita dalle istituzioni locali attraverso associazioni e altri enti pubblici.
“I Prati di Caprara non sono un hotel, ma l’accoglienza è stata tutto sommato positiva – spiega Maurizio Mainetti, direttore dell’Agenzia regionale di Protezione Civile – Bisogna tenere presente che noi operiamo su scelte fatte da altri, e che 130 persone mettono a dura prova qualsiasi struttura, sopratutto questa che ha una certa età. Detto questo quando c’è qualcosa di danneggiato interveniamo celermente. Fortunatamente tra poche settimane finirà l’emergenza, e queste persone, se andrà tutto come deve andare, dovrebbero essere prese in carico dagli enti locali”. E’ stata una scelta sbagliata quella di concentrare così tanti migranti in una struttura del genere? “Non sono io a dovere giudicare”.
Giorni fa ilfattoquotidiano.it è andato ai Prati di Caprara per verificarne le condizioni. Che non sarebbero neppure pessime, se ad esempio il centro accoglienza fosse usato come magazzino. Invece da più di 500 giorni ci vivono in 130 in stanze da sei, sette o a volte anche otto letti schiacciati gli uni contro gli altri. Una struttura circondata da muro e filo spinato, con bagni senza acqua calda, boiler fuori uso, un telefono pubblico che non dà segni di vita, vetri rotti e porte spaccate negli stanzoni dormitorio, pavimenti e docce danneggiate, qualche condizionatore (così è assicurato il riscaldamento) non più funzionante. All’ingresso un’impalcatura da cantiere e una sala tv con sedili rimediati chissà dove. Una struttura che forse poteva andare bene per i primi giorni dell’emergenza profughi, e che invece è stata usata per un anno e mezzo. “Ci trattano come cani – ha spiegato uno degli ospiti in inglese – Ogni tanto se ne va la luce, abbiamo avuto solo due cambi vestiti in 18 mesi, il resto ce lo hanno regalato i bolognesi o ce lo siamo presi rovistando nella spazzatura”.
Sulla questione fondi il direttore dei Prati di Caprara respinge tutte le accuse, “anzi con 40 euro al giorno a migrante non riusciamo nemmeno a rientrare nelle spese, ci stiamo rimettendo. Le utenze del centro sono un carico notevole per le nostre casse. Chi ci attacca vuole delegittimare la struttura e dice cose scorrette. Ad esempio si dice che non c’è acqua calda, la verità è che i boiler sono piccoli, e dopo una doccia gli altri ospiti devono semplicemente aspettare un po’”. A spiegarci come funziona Wisdom: “E’ vero, l’acqua calda c’è ma solo in una doccia. Siamo in 130 e facciamo la fila dalle 5 di mattina”. C’è poi la questione delle cucina, a loro vietata per motivi di sicurezza. “Ogni giorni ricevono cibo da un servizio catering, non possono nemmeno prepararsi i pasti da soli e vivere una minima autonomia. Non ce la fanno più”. La conferma di quanto raccontato mesi fa a ilfattoquotidiano.it, quando i migranti parlarono di “pasti pessimi, riscaldamenti quasi sempre spenti, un grado di autonomia nullo e corsi e assistenza legale forniti da volontari non pagati”. A marzo l’associazione bolognese “3 febbraio” aveva confermato l’assenza di acqua calda “almeno fino a prima della grande nevicata invernale. E l’acqua calda – ha spiegato un volontario dell’associazione – gli è stata data solo perché hanno protestato sotto la sede della protezione civile”. Il 27 i Prati di Caprara sono stati visitati dal consigliere comunale del Pdl Michele Facci, che ha poi parlato di un centro “sovraffollato, 120 persone invece delle previste 40, e una condizione sanitaria non idonea”. Quel giorno Facci ha riferito alla agenzie di aver visto nel campo solo “due o tre operatori della Croce Rossa”, a fronte di circa 120 migranti.
Si poteva fare di meglio? Forse sì, come ci spiega un operatore che sta seguendo l’emergenza profughi nei Comuni di Casalecchio, Sasso Marconi e Monte San Pietro. “Il modello è stato completamente differente. Piccoli gruppi di migranti sparsi sul territorio. In una casa 6 ragazzi, in un’altra 4, in un’altra ancora 3 e così via. Si gestiscono la loro casa, si fanno da mangiare da soli, per fare la spesa hanno i buoni della protezione civile e altri contributi, in tutto 100 euro a testa al mese. Poi c’è lo strumento della borsa lavoro, molti di loro sono stati introdotti a un’attività lavorativa e pagati 3 euro e 80 centesimi all’ora”. Poco, ma tantissimo se paragonato all’euro al giorno concesso ai migranti bolognesi che si sono offerti di dare una mano al Tribunale. Infine c’è il problema dell’italiano. Pochissimi tra i 130 migranti ospitati ai Prati di Caprara riescono a sostenere una conversazione anche basilare “E’ ovvio, se stanno sempre assieme continueranno a parlare inglese, inseriti in piccoli contesti invece avrebbero non solo la possibilità ma anche l’obbligo di interagire con italiani. E imparerebbero la lingua”.
Nei giorni scorsi ilfattoquotidiano.it ha provato più volte a contattare l’assessore Frascaroli, ma senza risposta. In una risposta a un’interrogazione comunale, tempo fa l’assessore ha spiegato che le prime fasi dell’emergenza sono state gestite “egregiamente” dalla Protezione civile, ma che ora bisogna “superare” la situazione attuale attraverso “soluzioni che facilitino i percorsi di integrazione degli ospiti”, ad esempio tramite percorsi di avviamento al lavoro e di autonomia abitativa.
Emilia Romagna
L’ira dei profughi contro la Croce Rossa: “Dove sono i soldi per l’assistenza?”
In piazza oltre 150 nigeriani arrivati in Italia durante la cosiddetta “emergenza profughi” della guerra di Libia, oggi stazionano oramai da 18 mesi in un campo d'accoglienza tenuto in pessime condizioni. Mancano all'appello 3 milioni di euro per l'assistenza specializzata: "Servizi però forniti solo attraverso volontari e in maniera intermittente"
Sono arrabbiati, anzi arrabbiatissimi. Nonostante i sorrisi e il colorato corteo che a forza di musica e canti li ha portati a protestare fino in Piazza Maggiore, sotto il Comune di Bologna. Sono i 130 nigeriani arrivati in Italia durante la cosiddetta “emergenza profughi” della guerra di Libia, e ora ospitati nel centro di accoglienza dei Prati di Caprara, il più grande dell’Emilia Romagna. Hanno chiesto diritti, dignità, e un futuro in Italia, “perché a fine dicembre scadranno tutti i nostri permessi e se non si farà qualcosa finiremo clandestini e senza casa”. Un problema che non riguarda certo le istituzioni locali, visto che tutte le decisioni in questo campo vengono prese a Roma. A riguardare Bologna invece il modo con cui sono stati spesi i soldi usati per accoglierli. Quaranta euro lordi a persona, estendibili a 46, che ogni giorno sono stati dati non a loro, ma a chi si è occupato della loro accoglienza. In questo caso la Croce Rossa Italiana, che ai Prati di Caprara ha organizzato 17 mesi fa una sorta di centro di accoglienza.
“Vivono in quello che loro stessi chiamano slum“, attacca l’associazione bolognese Ya Basta, che da tempo segue il caso dei 130 nigeriani, e che oggi assieme agli attivisti del centro sociale Tpo ha sfilato assieme a loro. “Da quello che ho visto e sentito posso dire che il loro trattamento è stato davvero poco umano”, ha raccontato il consigliere regionale Roberto Sconciaforni della Fed, anche lui in manifestazione. Al megafono, mentre il corteo percorreva le poche centinaia di metri di via Indipendenza, c’è chi ha chiesto spiegazioni all’assessore al welfare del Comune di Bologna, Amelia Frascaroli, “Assessore basta silenzio”, e chi ha chiamato in causa la Croce Rossa. “Che ve ne siete fatti di tutti quei soldi?”
In tutto quasi tre milioni di euro, una cifra considerevole che avrebbe dovuto garantire ai profughi non solo vitto e alloggio e vestiario, ma anche assistenza legale e burocratica, corsi di lingua, mediazione interculturale, un servizio di primo orientamento. Il tutto con l’assistenza di personale specializzato. “Servizi che non sono stati forniti se non attraverso volontari e in maniera intermittente. Corsi di italiano ce ne sono stati, ma senza continuità e il risultato è che loro ancora la nostra lingua non la parlano”, spiega Neva Cocchi di Ya Basta.
“Non possiamo dire che il nostro centro sia esente dai problemi, considerando anche che la struttura ci è stata assegnata per un’emergenza che è continuata per 18 mesi – spiega Michele Camurati, responsabile per la Croce Rossa del centro di accoglienza – ma noi i servizi previsti li abbiamo sempre forniti, appoggiandoci ad esempio alla rete di associazioni di volontariato presenti in città. Abbiamo organizzato corsi di italiano e dato assistenza legale attraverso l’associazione Al Sirat”. Ad Al Sirat, sportello medico-giuridico di base al centro sociale XM24, confermano tutto, specificando però di essere stati ingaggiati dal Comune di Bologna con fondi della Provincia, e per un progetto limitato che non ha potuto fornire assistenza a 41 dei 130 profughi. Gli altri sono stati presi in carico da altre associazioni e in parte, in un secondo tempo, dai volontari di Avvocati di strada quando. Come dire: ai 40 euro al giorno bisognerebbe aggiungere il costo dell’assistenza fornita dalle istituzioni locali attraverso associazioni e altri enti pubblici.
“I Prati di Caprara non sono un hotel, ma l’accoglienza è stata tutto sommato positiva – spiega Maurizio Mainetti, direttore dell’Agenzia regionale di Protezione Civile – Bisogna tenere presente che noi operiamo su scelte fatte da altri, e che 130 persone mettono a dura prova qualsiasi struttura, sopratutto questa che ha una certa età. Detto questo quando c’è qualcosa di danneggiato interveniamo celermente. Fortunatamente tra poche settimane finirà l’emergenza, e queste persone, se andrà tutto come deve andare, dovrebbero essere prese in carico dagli enti locali”. E’ stata una scelta sbagliata quella di concentrare così tanti migranti in una struttura del genere? “Non sono io a dovere giudicare”.
Giorni fa ilfattoquotidiano.it è andato ai Prati di Caprara per verificarne le condizioni. Che non sarebbero neppure pessime, se ad esempio il centro accoglienza fosse usato come magazzino. Invece da più di 500 giorni ci vivono in 130 in stanze da sei, sette o a volte anche otto letti schiacciati gli uni contro gli altri. Una struttura circondata da muro e filo spinato, con bagni senza acqua calda, boiler fuori uso, un telefono pubblico che non dà segni di vita, vetri rotti e porte spaccate negli stanzoni dormitorio, pavimenti e docce danneggiate, qualche condizionatore (così è assicurato il riscaldamento) non più funzionante. All’ingresso un’impalcatura da cantiere e una sala tv con sedili rimediati chissà dove. Una struttura che forse poteva andare bene per i primi giorni dell’emergenza profughi, e che invece è stata usata per un anno e mezzo. “Ci trattano come cani – ha spiegato uno degli ospiti in inglese – Ogni tanto se ne va la luce, abbiamo avuto solo due cambi vestiti in 18 mesi, il resto ce lo hanno regalato i bolognesi o ce lo siamo presi rovistando nella spazzatura”.
Sulla questione fondi il direttore dei Prati di Caprara respinge tutte le accuse, “anzi con 40 euro al giorno a migrante non riusciamo nemmeno a rientrare nelle spese, ci stiamo rimettendo. Le utenze del centro sono un carico notevole per le nostre casse. Chi ci attacca vuole delegittimare la struttura e dice cose scorrette. Ad esempio si dice che non c’è acqua calda, la verità è che i boiler sono piccoli, e dopo una doccia gli altri ospiti devono semplicemente aspettare un po’”. A spiegarci come funziona Wisdom: “E’ vero, l’acqua calda c’è ma solo in una doccia. Siamo in 130 e facciamo la fila dalle 5 di mattina”. C’è poi la questione delle cucina, a loro vietata per motivi di sicurezza. “Ogni giorni ricevono cibo da un servizio catering, non possono nemmeno prepararsi i pasti da soli e vivere una minima autonomia. Non ce la fanno più”. La conferma di quanto raccontato mesi fa a ilfattoquotidiano.it, quando i migranti parlarono di “pasti pessimi, riscaldamenti quasi sempre spenti, un grado di autonomia nullo e corsi e assistenza legale forniti da volontari non pagati”. A marzo l’associazione bolognese “3 febbraio” aveva confermato l’assenza di acqua calda “almeno fino a prima della grande nevicata invernale. E l’acqua calda – ha spiegato un volontario dell’associazione – gli è stata data solo perché hanno protestato sotto la sede della protezione civile”. Il 27 i Prati di Caprara sono stati visitati dal consigliere comunale del Pdl Michele Facci, che ha poi parlato di un centro “sovraffollato, 120 persone invece delle previste 40, e una condizione sanitaria non idonea”. Quel giorno Facci ha riferito alla agenzie di aver visto nel campo solo “due o tre operatori della Croce Rossa”, a fronte di circa 120 migranti.
Si poteva fare di meglio? Forse sì, come ci spiega un operatore che sta seguendo l’emergenza profughi nei Comuni di Casalecchio, Sasso Marconi e Monte San Pietro. “Il modello è stato completamente differente. Piccoli gruppi di migranti sparsi sul territorio. In una casa 6 ragazzi, in un’altra 4, in un’altra ancora 3 e così via. Si gestiscono la loro casa, si fanno da mangiare da soli, per fare la spesa hanno i buoni della protezione civile e altri contributi, in tutto 100 euro a testa al mese. Poi c’è lo strumento della borsa lavoro, molti di loro sono stati introdotti a un’attività lavorativa e pagati 3 euro e 80 centesimi all’ora”. Poco, ma tantissimo se paragonato all’euro al giorno concesso ai migranti bolognesi che si sono offerti di dare una mano al Tribunale. Infine c’è il problema dell’italiano. Pochissimi tra i 130 migranti ospitati ai Prati di Caprara riescono a sostenere una conversazione anche basilare “E’ ovvio, se stanno sempre assieme continueranno a parlare inglese, inseriti in piccoli contesti invece avrebbero non solo la possibilità ma anche l’obbligo di interagire con italiani. E imparerebbero la lingua”.
Nei giorni scorsi ilfattoquotidiano.it ha provato più volte a contattare l’assessore Frascaroli, ma senza risposta. In una risposta a un’interrogazione comunale, tempo fa l’assessore ha spiegato che le prime fasi dell’emergenza sono state gestite “egregiamente” dalla Protezione civile, ma che ora bisogna “superare” la situazione attuale attraverso “soluzioni che facilitino i percorsi di integrazione degli ospiti”, ad esempio tramite percorsi di avviamento al lavoro e di autonomia abitativa.
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Il Papa “ha riposato bene”. “Dimissioni? Sono speculazioni”. Le condizioni mediche: “Non è fuori pericolo, il vero rischio è la sepsi”
Gaza, 22 feb. (Adnkronos) - Gli ostaggi israeliani Eliya Cohen, Omer Shem Tov e Omer Wenkert sono stati trasferiti alla Croce Rossa Internazionale dopo essere saliti sul palco a Nuseirat, nel centro di Gaza, prima del rilascio da parte di Hamas.
Roma, 22 feb. (Adnkronos Salute) - "In Italia sono sempre più giovani medici attratti dalla ginecologia oncologica: questa specializzazione conta bravi chirurghi intorno ai 45 anni, in Italia sono circa 50, tra cui molte donne. E loro saranno tra i protagonisti domani del simposio 'Innovation in Gyn Onc', appuntamento voluto dalla Società italiana di ginecologia e ostetricia all’interno di Esgo", European Gynaecological Oncology Congress, in corso fino a domenica a Roma (Hotel dei Congressi all’Eur). Così all’Adnkronos Salute Vito Trojano, presidente di Sigo alla vigilia del meeting all’interno del Congresso Esgo 2025, un'esperienza formativa con oltre 50 sessioni scientifiche che in questa tre giorni di lavori presentano gli ultimi sviluppi medici e scientifici nella ricerca, nel trattamento e nella cura dei tumori ginecologici, tenuti da esperti di fama mondiale.
"Sarà una giornata molto importante perché non solo è un connubio fra la Società europea di ginecologia oncologica e la Sigo – spiega Trojano – ma perché dedicata alle nuove generazioni. Obiettivo: poter fare in modo che la Ginecologia oncologica sia sempre più attrattiva e di interesse per i giovani che aspirano a fare i medici".
Tra i temi al centro del simposio, nuove proposte per la vaccinazione e lo screening del cancro cervicale, prevenzione del cancro ovarico oltre la chirurgia, medicina di precisione in oncologia ginecologica, novità dalla biopsia liquida, algoritmi terapeutici nel carcinoma ovarico di prima linea, efficacia e sopravvivenza a lungo termine con gli inibitori di Parp. E ancora: la salute digitale in oncologia ginecologica, telechirurgia, telesonografia, teleconsulenza e Hipec (chemioterapia ipertermica intraperitoneale) in oncologia ginecologica. "Ampio spazio sarà dato ovviamente alle nuove terapie mediche, alle tecniche chirurgiche e all’Intelligenza artificiale con cui i futuri chirurghi si addestrano e si formano", conclude Trojano.
Gaza, 22 feb. (Adnkronos) - A Nuseirat, nel centro della Striscia di Gaza, verranno rilasciati tre ostaggi (Omer Shem Tov, Eliya Cohen e Omer Wenkert) rapiti il 7 ottobre, anziché quattro come si pensava in precedenza. Il quarto ostaggio, Hisham al-Sayed, rapito nel 2015, verrà liberato in un altro luogo e senza una cerimonia pubblica. I veicoli della Croce Rossa sono presenti a Nuseirat, ma sembra che ci potrebbe essere ritardo nella consegna.
Roma, 22 feb. (Adnkronos Salute) - Ansia e depressione, nei pazienti con cancro, peggiorano la risposta alle cure e riducono la sopravvivenza. Lo evidenziano i risultati di uno studio (Stress Lung) pubblicato su 'Nature Medicine' e condotto su 227 pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule in stadio avanzato e trattati in prima linea con farmaci immunoterapici. A 2 anni, solo il 46% dei pazienti con distress emozionale, in particolare ansia e depressione, era vivo rispetto al 65% delle persone colpite dal carcinoma polmonare, ma senza segni di disagio psicologico. In Italia lo psicologo dedicato all'oncologia è presente, sulla carta, in circa la metà dei centri, in realtà solo il 20% delle strutture dispone di professionisti formati per affrontare il disagio mentale determinato dal cancro. Per contribuire a colmare questa lacuna nasce 'In buona salute', la prima piattaforma online di psiconcologia in Italia (inbuonasalute.eu), presentata ieri a Milano, in un incontro con la stampa. Si tratta di un luogo sicuro, accessibile e altamente professionale - riporta una nota - dove pazienti, caregiver e operatori sanitari possono ricevere un aiuto qualificato, senza limiti di tempo o spazio.
"Si stima che più del 50% dei pazienti oncologici sviluppi livelli significativi di distress emozionale che hanno un impatto negativo sulla qualità di vita, sull'adesione ai trattamenti e, quindi, sulla sopravvivenza - spiega Gabriella Pravettoni, responsabile scientifico di 'In buona salute', direttrice della divisione di Psiconcologia dell'Istituto europeo di oncologia e professoressa di Psicologia delle decisioni all'Università degli Studi di Milano - Il sostegno psiconcologico è fondamentale prima, durante e dopo le cure. Sono contenta che ci siano iniziative di questo genere dove si possa offrire un supporto concreto e personalizzato a chi affronta il tumore, attraverso un percorso di cura psicologica mirato e focalizzato al miglioramento del benessere mentale durante ogni fase della malattia".
Dopo aver completato un questionario online, la piattaforma suggerisce lo specialista più in linea con le necessità di ogni persona. E' infatti disponibile un team di psiconcologi certificati, impegnati a fornire un aiuto prezioso a pazienti, caregiver e operatori sanitari. Nella piattaforma è possibile trovare risorse, supporto emotivo e informazioni affidabili. E' consigliato un ciclo di 10 sedute online di 50 minuti.
"Troppo spesso i risvolti psicologici di una diagnosi di cancro sono lasciati in seconda linea, rispetto ai bisogni strettamente clinici - continua Pravettoni - Vanno considerate le difficoltà dei medici a discutere di questi argomenti durante la visita, anche per mancanza di tempo, e la riluttanza dei pazienti a confidarli, talvolta per lo stigma ancora associato ai problemi legati alla salute mentale. Anche quando i problemi psicologici vengono riconosciuti, non è facile gestirli nella pratica clinica. Non esiste, infatti, un modello di valutazione e intervento adatto a tutte le circostanze. Anche il supporto psiconcologico deve adeguarsi e rispondere ai bisogni dei pazienti, adottando tutti gli strumenti utili, incluse le sedute online".
Nel 2024, nel nostro Paese, sono stati stimati 390.100 nuovi casi di tumore. Grazie ai programmi di screening e ai progressi nelle terapie, aumenta il numero di persone che vivono dopo la diagnosi: nel 2024 erano circa 3,7 milioni. "La cura a 360 gradi di questi cittadini deve implicare una maggiore attenzione alle conseguenze psicologiche della malattia - afferma Lucia Del Mastro, professore ordinario e direttore della Clinica di Oncologia medica dell'Irccs Ospedale policlinico San Martino, Università di Genova - Il distress emozionale nelle persone colpite dal cancro è una condizione frequente, che ha un impatto negativo sulla qualità della vita e sulla sopravvivenza. I pazienti oncologici con sintomi depressivi mostrano, inoltre, una minor aderenza ai protocolli terapeutici. Uno studio retrospettivo ha indagato il grado di accettazione della chemioterapia adiuvante in donne con carcinoma della mammella: tra le pazienti con depressione che non hanno richiesto aiuto psicologico, solo il 51% ha accettato di sottoporsi alla chemioterapia. L'associazione tra sintomi depressivi e riduzione della sopravvivenza può essere dovuta non solo alla mancata aderenza terapeutica, ma anche alla risposta allo stress cronico e ai meccanismi immunitari implicati".
Per garantire "servizi adeguati di psiconcologia - prosegue Del Mastro - serve non solo un potenziamento delle risorse, ma anche riconoscere il ruolo dello psiconcologo all'interno del team multidisciplinare. Inoltre, i pazienti devono essere informati di più e meglio sull'opportunità di beneficiare di questi servizi. Ad esempio, la norma che ha istituito in Italia le Breast unit ha stabilito che, all'interno dei team multidisciplinari, siano inclusi gli psiconcologi, ma troppo spesso nei centri di senologia mancano professionisti strutturati, sostituiti da figure che lavorano con contratti precari. Ecco perché sono importanti progetti come 'In buona salute', che possono rispondere alle esigenze di supporto emotivo dei pazienti. Va considerata anche la facilità di accesso al servizio online, perché non è necessario spostarsi per accedere alle strutture, vantaggio importante soprattutto quando si tratta di pazienti fragili in trattamento".
Aggiunge Rosanna D'Antona, presidente di Europa Donna Italia: "Già dalla diagnosi la donna si trova a affrontare una serie di problematiche che afferiscono all'ambito psicologico. Stress, disturbi d'ansia, depressione, immagine corporea alterata, difficoltà nella sfera emotiva, familiare e di coppia, sono le più comuni di un elenco purtroppo molto lungo. Grazie anche all'aiuto dello psiconcologo, è possibile per la paziente sviluppare una capacità di adattamento e di autogestione di fronte alla malattia, arrivare cioè a quello stato di resilienza necessario a superare le difficoltà nel percorso di cura. Lo psiconcologo dovrebbe essere presente, insieme all'oncologo medico, fin dall'inizio, ad ogni colloquio, anche se siamo ben consapevoli della carenza di personale dedicato e della precarietà degli incarichi".
"Mentre ci impegniamo con forza affinché questi limiti vengano superati e si rispettino le linee guida europee che prevedono la presenza dello psiconcologo in tutte le Breast Unit, accogliamo con favore la disponibilità di una piattaforma online con figure specializzate - conclude - a cui pazienti e familiari possano rivolgersi con la certezza di trovare un supporto qualificato".
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "Sono vicino all’amico Mario Occhiuto con tutti i senatori di Forza Italia in questo momento di immenso dolore per la scomparsa del figlio". Lo scrive sul suo profilo X il presidente dei senatori di Forza Italia Maurizio Gasparri per la morte di Francesco Occhiuto, figlio 30enne del senatore ed ex sindaco di Cosenza.
"Gli siamo vicini nella preghiera e con la fraterna amicizia, che gli testimoniamo per essergli accanto in un momento drammatico per lui e per la sua famiglia. Che abbracciamo tutta, con un pensiero a Roberto", conclude.
Mosca, 22 feb. (Adnkronos) - Un secondo incontro tra i rappresentanti di Russia e Stati Uniti è previsto entro le prossime due settimane. Lo ha annunciato il vice ministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov, citato dall'agenzia di stampa statale Ria, aggiungendo che l'incontro avrà luogo in un paese terzo.
Reggio Emilia, 22 feb. - (Adnkronos) - Residui di amianto e carni in stato di decomposizione. E' cresciuta la preoccupazione dei cittadini di Reggio Emilia nei dieci giorni trascorsi dalla mattina dell’11 febbraio, quando si sono svegliati osservando una nube di fumo in cielo causata dall’incendio dello stabilimento della multinazionale Inalca, tra i leader internazionali per la lavorazione di carni fresche.
Nelle ultime ore, in seguito al parziale dissequestro dell’area, il sindaco reggiano Marco Massari ha quindi emanato un’ordinanza di bonificaper la presenza di residui di amianto e carni in stato di decomposizione negli spazi dove si era sviluppato l’incendio (VIDEO).
L’ordinanza si fonda sul referto del Dipartimento di Sanità ed Igiene pubblica dell’Ausl di Reggio Emilia, da cui emerge che “l’area scoperta dell’impianto identificata come area cortiliva, contenuta nel perimetro esterno del complesso e non sottoposta a sequestro giudiziario, risulta interessata da frammenti di cemento amianto ed è necessario adottare misure precauzionali atte ad impedire la dispersione di fibre attraverso la raccolta ad umido o con aspiratori a filtro assoluto”.
Inoltre, dallo stesso referto emerge che diversi alimenti di varia origine - tra cui consistenti quantità di provenienza animale, stoccati nel magazzino della ditta Quanta Stock&Go, anch’esso parzialmente coinvolto nell'incendio - stanno subendo un “normale processo di putrefazione che determina la necessità di provvedere con urgenza alla rimozione e smaltimento degli stessi”.