Il tecnico della Segreteria di Stato è stato ritenuto colpevole di favoreggiamento “per aver aiutato a eludere le investigazioni dell’autorità”. La pena è stata dimezzata per le attenuanti generiche e per la mancanza di precedenti. Il suo legale ha già annunciato appello
Il Tribunale vaticano ha condannato Claudio Sciarpelletti, tecnico informatico della Segreteria di Stato, a due mesi di reclusione per il reato di favoreggiamento. La vicenda riguarda l’inchiesta sulla fuga di documenti per cui è stato già condannato il maggiordomo del papa Paolo Gabriele. Il collegio presieduto da Giuseppe Dalla Torre ha determinato la pena in quattro mesi di reclusione, ridotta a due per le attenuanti generiche in virtù dello stato di servizio dell’imputato e della mancanza di precedenti penali. La pena inoltre è stata sospesa per un periodo di cinque anni. Sciarpelletti, al momento della lettura della sentenza, si è stretto alla moglie presente con lui in aula e non ha rilasciato commenti.
Sciarpelletti è stato ritenuto colpevole di favoreggiamento, ha detto il giudice, “per aver aiutato a eludere le investigazioni dell’autorità”. Oltre alla sospensione della pena è stata disposta la non menzione della condanna nel casellario giudiziario. Sciarpelletti, a cui sono stati restituiti mille euro versati a titolo di cauzione, è stato anche condannato al pagamento delle spese processuali.
”Presenteremo appello”. Con questo annuncio Gianluca Benedetti, l’avvocato difensore di Sciarpelletti, ha reagito a caldo alla lettura della sentenza di condanna per favoreggiamento del suo assistito. Alla domanda se la condanna avrà conseguenze sul lavoro di tecnico informatico all’interno del Vaticano, il legale ha spiegato: “Conseguenze ne ha, c’è la condizionale, ma non conta per il licenziamento”.
Nel corso dell’udienza, è spuntato il nome di un monsignore che avrebbe dato una busta a Claudio Sciarpelletti, a parte quella con l’intestazione “Personale P. Gabriele” trovata nel suo cassetto e che ha portato al rinvio a giudizio e alla condanna per le differenti versioni su chi gliel’aveva consegnata. Si tratta, secondo quanto emerso nel corso dell’istruttoria e ripetuto oggi in aula dal promotore di giustizia Nicola Picardi, di monsignor Piero Pennacchini, ex vice direttore della sala stampa vaticana.
Il nome di Pennacchini è stato fatto durante l’ascolto di uno dei testimoni, il vice commissario Gianluca Gauzzi Broccoletti della Gendarmeria. E’ stato Picardi a ricordare che nell’interrogatorio di Sciarpelletti del 29 maggio scorso “era uscito il nome di Pennacchini”, dicendo che poi la questione “era tramontata”. Ha ricordato che l’indagato aveva riferito di aver ricevuto la busta da mons.Polvani e di aver anche detto di ricordarsi di aver ricevuto prima un’altra busta da mons. Pennacchini da consegnare all’aiutante di camera del Pontefice (nelle carte pubblicate sul rinvio a giudizio Pennacchini veniva indicato con la lettera ‘X’, mentre con la lettera ‘W’ veniva indicato mons. Polvani).
E’ difficile capire se queste rivelazioni rispondono a una sorta di strategia della trasparenza che il pm rincorre in questo modo, o siano invece solo legate ai ragionamenti svolti prendendo la parola in aula, nelle varie fasi del processo. Resta il fatto che quattro cardinali di Curia (Sardi, Comastri, Cottier e Dias) e un vescovo (Cavina di Carpi) erano stati indicati come possibili “suggestionatori” di Gabriele e non hanno potuto difendere la propria onorabilità. Stessa sorte tocca oggi a don Pennacchini, senza peraltro che si sia capito cosa potesse contenere la busta che si apprende oggi essere citata negli atti come proveniente da lui. Certo è che non dovevano esservi contenuti incriminanti, se la cosa non ha avuto seguito.