Il Paese ha fatto i compiti, nonostante i costi sociali altissimi. Ma i creditori internazionali prendono tempo e benché il report di Bce, Fmi e Ue sia positivo, all'Eurogruppo non se ne parla prima di mercoledì
Servono altri due anni per rimettere in ordine i conti greci, ma il costo sarà di 32,6 miliardi. Il rapporto della Troika sulla crisi greca fa tremare l’Eurozona e le borse (Atene chiude con meno 3,63% con le maggiori banche che cadono di dieci punti, Milano meno 0,39%, Madrid in calo con l’indice Ibex che cede lo 0,90% a 7.567,80 punti). Perché se da un lato Atene ha “fatto i compiti” licenziando in parlamento il terzo memorandum di tagli da 18 miliardi e approvando domenica notte il bilancio dello Stato, adesso tocca ai rappresentanti di Bce, Ue e Fmi concedere la dose da 31 miliardi di euro a un paese che ha soldi in cassa solo per pochissismi giorni. E che, per allungare l’applicazione del piano fino al 2016, secondo il report costerebbe altri denari.
E che denari. Quindici miliardi per il 2014 e più di diciassette per il biennio 2015-2015. Numeri imponenti che fanno sorgere il dubbio sulla cura applicata al malato grave ellenico e su chi l’ha prescritta. Che trovano già la strada sbarrata, ad esempio, da parte dell’Austria. “Non mi posso immaginare – ha sottolineato il ministro delle Finanze austriaco Maria Fekter a margine dell’Eurogruppo – gli altri ministri andare di nuovo dai contribuenti o davanti ai parlamenti a chiedere un nuovo pacchetto di aiuti’ per la Grecia”. E già si allunga non solo l’ombra minacciosa di un altro Eurogruppo per prendere una decisione finale sugli aiuti come prevede il nuovo ministro olandese, Jeroen Dijsselbloem, ma lo spettro di una corsa contro il tempo per evitare il crack della Grecia, passando per il banco di prova delle elezioni al Bundestag del 2013. E lo steso Dijsselbloem rileva: “Certamente non lo escludo. Se serve più tempo ce lo prenderemo non agiremo sotto pressioni. Se devo viaggiare avanti e indietro altre due o tre volte prima di arrivare ad una decisione, lo farò. Ma i greci hanno lasciato molte cose fino all’ultimo minuto, così ci prenderemo altro tempo per valutare a che punto siamo”.
Intanto la Grecia anche se in ritardo di quindici mesi, forse per la prima volta dall’inizio della crisi che sta sconquassando un continente intero, ha fatto i compiti a casa. Perché licenziando il terzo memorandum di tagli proposto dai rappresentanti di Bce, Ue e Fmi e approvando il bilancio in Parlamento, ha “eseguito” gli ordini. E attende che il pool di esperti giunti al capezzale del “malato” diano il nulla osta all’ennesima tranche di prestiti da 31 miliardi, utile per evitare il crack finanziario. Le casse dello stato ellenico, come lo stesso premier Samaras ricorda di mese in mese, hanno liquidità ancora per pochissimi giorni. A sostegno della Grecia erano giunte in giornata le parole del capo dell’Eurogruppo Juncker secondo cui il rapporto della troika per i leader europei è “fondamentalmente positivo”, dal momento che “Atene ha mantenuto le sue promesse”. Un passaggio che smontava, almeno tecnicamente e almeno fino a questa mattina, le resistenze di chi come il ministro tedesco Schaeuble aveva sempre chiuso la porta ad un ulteriore aiuto verso Atene se prima il governo greco non avesse “obbedito agli ordini” della troika. Che oggi sono stati assolti, con tanto di maggioranza governativa incerta, con la protesta popolare che ha portato centomila persone in piazza giovedì scorso e che manifesteranno ancora dopodomani in occasione dello sciopero europeo. Ma che di fatto consente al governo ellenico di confrontarsi con i rappresentanti di Bce, Fmi e Ue con un ruolo diverso e nella consapevolezza di aver svolto il compito richiesto, anche se con conseguenze sociali drammatiche.
Per questo Juncker aveva aggiunto che dal momento che i greci hanno mantenuto le loro promesse, “ora è il nostro turno di mantenere le nostre promesse, ma prima abbiamo bisogno di un chiarimento in merito alla sostenibilità del debito greco”. Sottolineando che proprio in virtù di questo ultimo scoglio non ci sarà nessuna decisione sul versamento della quota nei colloqui di oggi a Bruxelles: “Discuteremo della questione oggi, ma non si può giungere ad una decisione definitiva”, ribadendo che i parlamenti nazionali avranno voce in capitolo. Tuttavia ha evidenziato come “sarebbe saggio arrivare oggi a un calendario preciso”, perché il “lavoro preparatorio è stato fatto, e quindi il rilascio della dose dovrebbe essere organizzato nel modo migliore possibile”.
Ecco che allora il nodo si trasferisce proprio all’interno dell’Eurogruppo, dove la disputa si gioca tra Ue e Fmi, con le due visioni differenti su come sostenere il debito ellenico e se giudicarlo sostenibile nel 2020. Un spiraglio che in verità era stato inizialmente tratteggiato dal quotidiano Financial Times Deutschland, secondo cui “non ci sarà nessun default della Grecia, né accidentalmente né intenzionalmente”. Asserendo che il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, ha invitato i ministri delle finanze dell’eurozona ad approvare, almeno in linea di principio, l’ulteriore prestito alla Grecia. E scrive che “dal momento che oggi non vi sarà l’approvazione della rata attesa da tempo, il paese dovrebbe emettere titoli per coprire i cinque miliardi in scadenza, e questo può avvenire solo se precedentemente la Bce dia il via alle sovvenzioni per aiutare la liquidità delle banche, in modo che le banche possano rifinanziare la Banca di Grecia”.
Ma al di là di quanto sostenuto da analisti e osservatori restano i numeri a parlare con una chiarezza imbarazzante. Restano due strade al momento: o un rinvio dei rimborsi o una riduzione dei tassi sul prestito, ammette lo stesso Juncker a fine giornata, o agire sui profitti sul debito sovrano ellenico accumulati dalla Bce che andrebbero distribuiti alle banche centrali nazionali e, tramite questa via, ai governi. I quali a loro volta potrebbero usarli per la Grecia. Ma la domanda è: in quanti saranno disposti a farlo?
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