Non si può affrontare un tema delicato come quello dell’immigrazione senza avere i dati reali. Né va dimenticato che dietro a quei numeri ci sono dei volti umani, delle storie, il coraggio di cercare un futuro diverso. D’altra parte, trascurare il fenomeno dando per scontato che la cittadinanza tutta sia oramai conscia e responsabile in materia, che certi valori di accoglienza e apertura siano oramai radicati nel pensiero di tutti, è altrettanto irresponsabile.
Specialmente in un periodo in cui la crisi spinge alla tipica “guerra tra poveri” e dove i disagi sociali aumentano per tanti, creando terreno fertile per la ricerca di nuovi capri espiatori o se non altro dando adito a rigurgiti di intolleranza verso chi è più “socialmente esposto”.
Per questo ci sembra importante riproporre in breve i dati del recente Dossier Statistico Immigrazione Caritas-Migrantes 2012, giunto alla 22esima edizione e considerato un punto di riferimento tra i più affidabili e significativi.
Si stima che gli stranieri presenti oggi in Italia siano circa 5 milioni, in previsione saranno 14 milioni su una popolazione stabile di 61 milioni nel 2014. L’idea ancora diffusa tra gli italiani è che l’immigrazione sia per lo più maschile, nordafricana e musulmana. Tutto il contrario.
Il 50% degli immigrati è europeo, segue un 22% di africani (specie da Marocco, Tunisia ed Egitto) e un 18% di asiatici. Si attesta inoltre che circa il 60% degli immigrati risiede al Nord e che nel 2011, a causa dell’emergenza nordafricana ci sono state più richieste d’asilo in Italia che in 60 anni. La causa della migrazione a livello globale rimane sempre la stessa: l’ineguale distribuzione delle ricchezze.
Altri dati da non perdere sono quelli legati al lavoro: gli immigrati in Italia costano meno allo Stato di quanto producono (il saldo tra servizi ricevuti e tasse/contributi versati è positivo di 1,7 miliardi di Euro nel 2011).
Sono stimati un totale di 2,5 milioni gli stranieri occupati in Italia: il 60% in servizi (specie nel lavoro presso le famiglie – si tenga conto che ogni anno in Italia 90mila persone diventano “non autosufficienti”), il 30% nell’industria, il 5% nell’agricoltura. Il 4% delle imprese italiane, circa 250mila, sono intestate a stranieri.
“Volevamo delle braccia, sono arrivate delle famiglie” ha detto nel corso della sua relazione alla presentazione milanese del Dossier Massimo Ambrosini, ordinario di Sociologia all’Università di Milano. Un tipo di immigrazione, quella famigliare, che i governi continuano a tenere sotto tiro e a ostacolare, con la paura che costituisca più un peso in termini di welfare per lo Stato, mentre la realtà è che accelera il processo di integrazione e stabilizzazione. Dal Dossier 2012 risulta che la popolazione italiana si sta cominciando ad abituare all’immigrazione e alla presenza di “stranieri” (difficile continuare a usare questo termine dal momento che il 44% degli alunni “stranieri” è nato in Italia…). Mentalmente, gli italiani continuano a serbare timore verso l’aumento delle diversità, ma di fatto nella quotidianità si sta realizzando un incontro, un’abitudine, una convivenza sempre più stabile e pacifica. E l’insediamento di famiglie aiuta tutto ciò.
“Le migrazioni sono inevitabili, – ha sottolineato Luigi Gaffuri del Comitato Scientifico che ha curato il Dossier – sono risposte strategiche che le persone attuano in reazione a un mondo attraversato da molte crisi e da diseguale distribuzione della ricchezza”. Ed è importante continuare a parlarne, a interrogarci su come si sta evolvendo questo fenomeno e cosa facciamo noi per viverlo come ricchezza umana e culturale. Le condizioni per un percorso pacifico e fruttuoso non sono scontate, vanno create giorno dopo giorno con competenza e volontà. “Chiunque parla di immigrazione non parla dell’immigrato. Parla di relazioni”.