Anche la pizza, anzi i diversi tipi di pizza hanno il loro Manifesto. Nel corso dell’evento Pizzaup, organizzato dal Molino Quaglia a Vighizzolo d’Este presso Padova, è stato firmato il Manifesto della Pizza Italiana Contemporanea: frutto del lavoro dell’Università della Pizza, di noti giornalisti enogastronomici e alcuni fra i migliori pizzaioli italiani. Si tratta di un decalogo che stabilisce alcuni parametri fondamentali per tutti i pizzaioli d’Italia, invitandoli alla consapevolezza di un mestiere che in passato è stato spesso sdegnato e che oggi attraversa un importante momento di rinascita, anche a causa dell’infelice situazione economica che ha favorito le pietanza meno costose: spesso etichettate come “cibo da strada”. Ma in realtà da secoli consumate anche a tavola. E da qualche anno poi, nemmeno soltanto economica, la pizza. Ma anzi veicolo dei più pregiati ingredienti nazionali: combinando la perizia del cuoco a quella del pizzaiolo. Ciò si deve soprattutto alla recente corrente “veneta” della pizza, che è stata inopportunamente battezzata “pizza gourmet”. L’unico disciplinare legislativamente valido lo si deve però ai 3 secoli di pizza napoletana, che ha ottenuto alla fine del 2009 la qualifica europea di STG, cioè specialità tradizionale garantita. Seppur con alcune imperfezioni e contraddizioni di stesura e concetto. A ciò sono seguiti anni di polemiche sull’identità della pizza, sulla scelta e provenienza delle farine, sulle lievitazioni e maturazioni dell’impasto, sui modi e tempi di cottura. Anche perché non di rado la qualità della pizza è stata misurata unicamente in base alla qualità degli ingredienti sulla “guarnizione”.
Il Manifesto dunque fissa dei concetti importanti per ogni tipo di pizza. Vediamoli in dettaglio:
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La pizza italiana valorizza le forme, le strutture d’impasto, le cotture e le farciture che nascono dalle tradizioni dei territori.
La pizza è italiana non solo napoletana, romana, veneta… e rispecchia la varietà delle tradizioni. Tradizione è termine dinamico fin dal suo etimo, significa “consegnare oltre”. E non deve riduzionisticamente essere intesa come una barriera. Anzi come scrisse qualcuno “Non vi accorgete che quando piango sulla rottura di una tradizione, è soprattutto all’avvenire che penso?” Quindi ben si comprende anche il punto due.
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La pizza deve anche essere espressione della creatività del pizzaiolo, affinché il suo grado di cultura e di conoscenza del passato diventino semi di innovazione continua.
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La pizza deve nascere da ingredienti e tecniche di lavorazione, conservazione e cottura che privilegino la digeribilità del piatto a tutto vantaggio del benessere del consumatore.
Digeribilità è un termine sulla bocca di tutti ma nella pancia di pochi. Se non si porta a giusta lievitazione e maturazione un impasto, questo non potrà mai essere digerito. Alcune combinazioni di ingredienti nella guarnizione, assieme a erronee cotture, potrebbero non alleggerire la cosa. L’uso di ingredienti sbagliati, in fase di cottura, può aumentare i livelli di composti chimici tossici.
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La pizza trova la sua espressione di massima eccellenza se realizzata con ingredienti di origine e produzione italiana, stimolando l’innalzamento della qualità nell’intera filiera agro-alimentare.
Si può dare valore a tutta la filiera, indirizzandone lo sviluppo. A cominciare dalla farina, dunque dal grano: quello usato in Italia viene più importato che coltivato. Non era così in passato. È opportuno che le realtà industriali, e non solo quelle sporadiche artigianali, si rivolgano ai coltivatori locali: il Molino Quaglia ad esempio ha stretto un accordo con la regione Emilia Romagna, avviando una linea di farine ottenute solo con grano al 100% italiano. Ogni anello della filiera può contribuire al cambiamento.
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Tra gli ingredienti per l’impasto e per la farcitura della pizza devono essere preferiti quelli con minor grado di raffinazione per esaltare il valore nutrizionale originario del prodotto.
Sappiamo quanto ad esempio le farine raffinate stiano contribuendo al dilagare dell’epidemia del XX secolo, l’obesità, e di conseguenza il diabete mellito. Un terzo degli Italiani è obeso o in sovrappeso. Abbiamo il più alto d’obesità infantile d’Europa. Scegliendo un minore grado di raffinazione dei prodotti contrastiamo l’insorgere delle malattie cronico-degenerative, in costante aumento e già prima causa di morte nel mondo.
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L’impasto della pizza deve rispettare i tempi fisiologici di maturazione e di lievitazione che dipendono dalle materie prime e dalla tecnica adottate.
Occorre accompagnare l’esperienza tramandata nei secoli, allo studio scientifico degli ingredienti e procedimenti di preparazione. Ci vuole insomma una filiera unita: pizzaioli, industrie, università.
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La dichiarazione d’uso di lievito madre deve essere esclusivamente riferita al risultato di un processo di fermentazione spontanea di un impasto di acqua e farina acidificato da ceppi di batteri lattici vivi, e non a polveri di lievito madre essiccato che non conferiscono le caratteristiche di digeribilità e conservabilità tipiche del lievito madre “vivo”.
Lievito naturale è sia il lievito madre che quello essiccato, madre o birra che sia. Dire lievito naturale non vuol dire nulla. Il lievito madre vivo, non essiccato, contribuisce a migliorare la pizza, specie da un punto di vista organolettico. Inoltre la stessa pizza, fatta con lievito madre vivo, provoca un minor innalzamento dell’indice glicemico: un parametro fondamentale per la salute, oltre che per la linea.
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La carta delle pizze deve essere aggiornata secondo la stagionalità degli ingredienti per dare al consumatore l’opportunità di alimentarsi secondo i ritmi della natura.
Vasto programma: come disse de Gaulle alla vista di un dimostrante con un cartello in cui era scritto – Morte ai Cretini. Però, anziché polemizzare su pomodoro o mozzarella tutto l’anno, si può cominciare a operare sugli altri ingredienti di “guarnizione” favorendo i coltivatori e produttori locali.
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Il pizzaiolo ed i suoi collaboratori devono mantenere un buon livello di decoro delle attività e degli ambienti, lavorando a vista per trasmettere il valore della propria arte con un piatto rispettoso degli ingredienti e dei consumatori.
Un punto non superfluo. Dato che ancora s’incappa in locali refrattari alle più comuni norme d’igiene. Il pizzaiolo, a differenza di quanto è accaduto fino al XX secolo, non è più all’ultimo posto della scala sociale. Ma è alla stregua di uno chef, anzi è ormai uno chef. Tanto che anni fa un noto chef decise di diventare pizzaiolo…
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La pizza italiana deve dunque divenire strumento di divulgazione del gusto italiano e della ricchezza della Dieta Mediterranea che dai suoi prodotti trae origine.
La pizza una bandiera del nostro paese, e non solo paesello. La dieta mediterranea, che a molti pare un argomento per riempire un telegiornale inetto o estivo, è la dieta più salutare al mondo eppure praticata solo dal 10% degli Italiani. Per quanto “salutare” sia un termine abusato, esso comporta che seguire una dieta mediterranea autentica vuol dire ammalarsi di meno e morire di meno. Le malattie cardiovascolari a cui è indubbiamente legata la dieta, rappresentano il 40% dei decessi nel nostro paese. La pizza può essere uno dei pilastri della dieta mediterranea, occorre rammentarlo.