Bastano due, tre gocce di pioggia che l’Italia va letteralmente sott’acqua. E allora ecco le petulanti voci che invocano piagnucolose lo stato di calamità. Dal sito del Dipartimento della Protezione Civile: “Lo stato di calamità, è una condizione conseguente al verificarsi di eventi naturali calamitosi di carattere eccezionale che causano ingenti danni alle attività produttive dei settori dell’industria, del commercio, dell’artigianato e dell’agricoltura.”
Per la carità, io so per esperienza diretta cosa vuole dire temere di rimanere sott’acqua, perdere tutte le proprie cose, se non la vita. Correva l’anno 2000 e vivevo ai Pich, una frazione di Cirié, a nord di Torino. Ci fu l’ennesima alluvione, e trascorsi fuori casa una notte attendendo la possibile ondata di piena che sommergesse la casa. Per fortuna non ci fu. Ma anche allora io non me la presi con il padreterno, che non ne può nulla, tanto più se non esiste, né con il fiume, che faceva il suo dovere, ma con i nostri politici, figli di buona donna.
Il nostro, un paese instabile geologicamente, eppure cementificato, asfaltato, bucato tipo Emmenthal come pochi altri.
Così recitava Antonio Cederna nel suo ‘La distruzione della natura in Italia’ del 1975, dopo aver parlato della cronica mancanza di geologi in Italia: “In queste condizioni, i funesti eventi che a intervalli regolari devastano l’Italia, seminando morti e rovine non appena piove tre giorni di fila smentiscono ogni pretesa fatalità e appaiono come l’effetto logico della vergognosa incuria dei vari governi che si sono succeduti… Ai boom edilizi, autostradali, industriali attuati al di fuori di qualunque indirizzo di programmazione e ispirati da interessi settoriali, l’Italia ha risposto sfasciandosi.”
Era il 1975, e Cederna purtroppo parlava al deserto. Sono trascorsi 37 anni e la situazione è drammaticamente peggiorata. Dal 1956 ad oggi la superficie impermeabilizzata dal cemento e dall’asfalto in Italia è aumentata del 500%: sissignori, del cinquecento per cento. I sindaci continuano a fare comunella con i costruttori, il governo depotenzia le regole anziché renderle più stringenti, e via verso l’ennesima catastrofe annunciata. Il dolo è evidente ma nessuno paga.
Un esempio per tutti: Genova è letteralmente spalmata di cemento ed asfalto, l’acqua non sa dove scorrere se non in superficie. Ed allora ecco le ricorrenti alluvioni. La colpa mi direte è mica dell’acqua, che fa quello che può, ma di quei sindaci che hanno permesso tutto questo sfacelo. Che hanno permesso dolosamente che si continuasse a costruire e che si intubassero i rii. Tanto, poi, loro non pagano.
Ed oggi Clini, a fronte dell’ennesimo annegamento annunciato, chiede che l’Europa allenti all’Italia il patto di stabilità per finanziare un programma, “urgente e necessario”, per la sicurezza e la manutenzione del territorio. Se l’Europa fosse obiettiva, ‘in to culo’ (mitico Albanese) che concederebbe all’Italia una deroga al patto di stabilità.
E’ dagli anni cinquanta dello scorso secolo che si deve tutelare il territorio: dovevano pensarci prima, e non ora che oramai i buoi sono scappati dalla stalla, che i danni sono fatti e sono destinati a moltiplicarsi nei prossimi anni. Patetico, come al solito, il pappagallo Bersani: “Bisogna prendere una iniziativa capace di riavviare la cura del territorio e di trovare le risorse necessarie per farlo.” Dagli anni cinquanta del 1900, le voci inascoltate di Antonio Cederna, di Mario Fazio ed oggi di Edoardo Salzano e di Salvatore Settis.
Dagli anni cinquanta del 1900 nulla è stato fatto nella direzione della tutela, ma solo nella direzione della depredazione. Proprio il partito di Bersani è responsabile della distruzione di una regione un tempo bellissima come la Liguria. Almeno avesse il buon gusto di tacere. Sapete che vi dico? I nostri politici andrebbero bene a fare del cabaret.