Il 22 e 23 Novembre si tiene a Madrid un significativo incontro di studenti ed economisti critici provenienti da Spagna, Grecia, Portogallo e Italia, i famosi PIGS. Link e Uds sono le associazioni studentesche italiane presenti. Sostenuto da fondi europei, il meeting è organizzato da Econonuestra.org, economisti spagnoli che si propongono di portare l’economia “fra la gente” sì da accrescere la consapevolezza pubblica che le scelte economiche sono opzioni politiche, dunque contestabili, e non scelte ineluttabili. Questo appare uno snodo politico importante di questa crisi, anche nel nostro paese. L’austerità non è una punizione divina per redimerci da passati peccati, ma è una scelta che ad avviso di molti economisti dipende da una diagnosi scorretta della crisi a cui seguono cure sbagliate. Alcuni ritengono che in ciò ci sia malafede, colpevolizzando l’opinione pubblica di aver “vissuto sopra i propri mezzi”, troppo stato sociale e diritti lavorativi, per far fuori questi ultimi.
Le origini della crisi non risiedono in realtà nella dissipatezza fiscale dei paesi mediterranei. Il debito pubblico italiano è per esempio assai più antico dell’euro, ed esso stesso non certo dovuto a un eccesso di stato sociale – semmai all’evasione e ai tassi di interesse volti a mantenere la parità col marco negli anni 1980. In aggiunta Portogallo e Italia hanno adottato politiche di bilancio assai prudenti. In Spagna (e Irlanda) l’indebitamento è stato soprattutto privato, dovuto a bolle immobiliari sostenute dai capitali del nord europeo. Ciò è accaduto anche in Grecia dove le politiche di spesa del centro-destra, grande cliente di armamenti tedeschi e francesi, spiegano solo in parte l’indebitamento. La Germania, dal canto suo, si è copiosamente avvantaggiata di questi eventi prestando capitali ed esportando allegramente verso il sud europeo. Sì, perché è Berlino il grave fattore di squilibrio europeo: senza il pervicace mercantilismo tedesco volto a una forte moderazione salariale sì da comprimere la domanda interna e precostituire un formidabile surplus esportabile, l’Eurozona non si troverebbe in mezzo a così tanti squilibri. Molte analisi mettono infatti in luce come i paesi del sud non tanto hanno perduto competitività, quanto sofferto dall’aver offerto un mercato alle merci tedesche senza averne uno in cambio. I salari reali spagnoli e italiani non sono certo aumentati negli anni dell’euro. Si può dunque con ragionevole certezza affermare che né la dissipatezza fiscale né salariale spieghino la crisi, la quale trova piuttosto la sua ragion d’essere nel combinato disposto di un settore finanziario de-regolato e del mercantilismo tedesco, una forma maligna di nazionalismo economico praticato e criticato lungo tutto il dopoguerra. Questo senza assolvere i Pigs dai tanti compiti a casa, i quali hanno però bisogno di crescita per svolgerli, anche per importare le non poche virtù che nessuno nega ai cugini tedeschi.
L’austerità sta con tutta evidenza devastando le economie dei Pigs: le imprese chiudono; sanità e istruzione subiranno arretramenti di decenni; la disoccupazione trasformerà generazioni di giovani in zombie senza futuro. Questo a fronte di finanze pubbliche che peggiorano, e pour cause visto che si fa l’opposto di quello che si fa, ad esempio, negli Stati Uniti. Possiamo ben dire che a questo stadio della crisi l’austerità ne è la causa principale, e la tesi che solo proseguendola si ristabilirà la fiducia dei mercati – tesi che Monti e Grilli ci ripetono a ogni piè sospinto – è la medesima del Presidente argentino de la Rua nel dicembre 2001, quello che scampò in elicottero al linciaggio della folla prima del default.
Quello che indigna è che soluzioni di buon senso ci sono. Certo ad esse la Germania si oppone, ma qui il nemico è anche interno, nei Monti-Grilli o nei Rajoy che da ultimo assecondano la pervicacia tedesca nel difendere un assetto istituzionale europeo funzionale al suo mercantilismo. Come negli Stati Uniti il deus ex machina è nel coordinamento della politica monetaria e fiscale: la Bce ha il potere persuasivo per portare i livelli dei tassi di interesse sui titoli pubblici ai livelli pre-crisi – dato che sono le banche a fare i tassi, a meno che i mercati vengano lasciati agire come sinora. Va poi certamente fissata una regola fiscale, e questa non può che essere una regola anti-austerity, una sorta di “condizionalità Keynesiana”: i paesi europei dovrebbero impegnarsi a stabilizzare i rapporti fra debiti pubblici e Pil. Questa regola associata a bassi tassi di interesse sarebbe compatibile con politiche fiscali espansive, dunque di sostegno a domanda e occupazione. Intuitivamente: invece di utilizzare i risparmi dovuti ai più bassi tassi di interesse per ridurre il debito, li si usa per la crescita, il rapporto debito/Pil si stabilizza mentre si comincia a uscire dalla crisi. Per contro è un fatto che l’austerità porta le economie in recessione riuscendo a peggiorare il rapporto debito/Pil .
Questi semplici ragionamenti fanno aumentare l’indignazione per l’ignoranza (o cattiva fede) di chi ci guida, e suggeriscono come il termine indignados sia stato quanto mai azzeccato. Mentre esso è stato però rivolto sinora verso gli arricchimenti di politici e finanzieri, iniziative come quella di Madrid volte a rendere patrimonio comune i ragionamenti suesposti, dannò al termine un senso ancora più profondo, cogente: l’indignazione dell’intelligenza che guarda al futuro verso visioni oscurantiste dell’economia. Dare una speranza ai giovani è l’esperienza più bella che ci sia. Come economista non più giovane, ma fuori dal coro, mi sento orgoglioso che dall’economia critica venga un messaggio positivo e razionale che ce la possiamo fare. Ma la lotta contro l’oscurantismo politico e intellettuale sarà, come sempre, molto dura.
di Sergio Cesaratto, Professore ordinario di Economia politica – Siena