Il primo era puttaniere, estroverso, ridicolo, coi capelli trapiantati e i tacchi dentro le scarpe. All’estero lo consideravano una catastrofe innaturale, pittoresca finché non diventa pericolosa. In Patria, chi non lo mungeva arricchendo nelle pieghe del suo impero, lo disprezzava al punto da non riuscire a considerarlo un avversario, con la conseguenza di non riuscire a contrastarlo mentre ci guidava verso il disastro.
Il secondo è irreprensibile, elegante, sobrio. Alto di suo e con una ragguardevole chioma. All’estero lo considerano uno come loro, educato, istruito, attendibile. In Patria, a un anno dal secondo matrimonio, persiste, nei più benestanti, un’eco del sollievo provato al momento del divorzio. In tutti gli altri (la maggioranza), si è diffusa un’ansia percorsa da refoli di disperazione: il nuovo marito non è stato eletto, bensì cooptato. Perciò non ha bisogno di ingraziarsi la moglie (cioè noi), evitandole tagli e balzelli. Se il primo era un piacione populista, il secondo è un austero popolicida. Come lo vogliamo il prossimo?