Much ado about nothing è il titolo di una commedia di Shakespeare; significa: ‘molto rumore per nulla’ e si attaglia benissimo alla commedia andata in scena sugli ‘esodati’ e di cui si è compiuto ieri l’ultimo atto. Peccato che dal punto di vista degli esodati si tratti di una tragedia e non di una commedia; non così dal punto di vista dei partiti che sostengono il Governo da ormai quasi dodici mesi, predicando benissimo quando si tratta di garantire che “si stanno studiando soluzioni” e razzolando malissimo quando si tratta, quelle soluzioni, di imporle con maggioranze parlamentari.
Ricapitolando gli ultimi eventi, con reciproca soddisfazione di Governo e relatori – di maggioranza – ieri è stato raggiunto un accordo tra appunto Governo e partiti che secondo i trionfanti sostenitori del Governo chiude la vicenda degli esodati. Più che di un accordo si tratta di un “negozio a danni di terzi”, dove i terzi sono pensionandi e pensionati, cioè coloro che malcapitatamente, da lavoratori costretti a dichiarare fino all’ultimo centesimo di reddito, hanno versato per decenni non solo le dovute tasse ma anche tonnellate di contributi che non rivedranno mai indietro interamente con i dovuti interessi, cosa che mi riservo di spiegare in un successivo post.
L’agognato accordo, dopo mesi di minacce altisonanti e azioni pusillanimi, fa una frazione minuscola di passo avanti rispetto ai decreti attuativi del Ministro Fornero – decreto 65.000 e decreto 55.000 – che, per chi si ricorda, istituirono paletti creativi di ogni genere per escludere dalle salvaguardie gli esodati che sembravano salvi con il testo originale della legge; non si può negare al Ministro, pur dissentendo in modo totale dalla sua visione della previdenza, che abbia fatto poche chiacchiere e molti fatti, al contrario dei balbettanti interlocutori più tesi a convincere i potenziali elettori che a ottenere risultati effettivi; mentre loro facevano proclami, il Ministro passettino dopo passettino li portava dove voleva e cioè ad accettare che dei 146 miliardi di euro che la riforma delle pensioni andrà a sottrarre dalle tasche dei “previdenti” in dieci anni, neppure un euro fosse distolto, neppure per sanare gli errori ammessi e ri-ammessi più volte; il Governo era così sicuro del fatto suo che fin dall’inizio indicò all’onnipotente Ragioneria dello Stato di iscrivere a bilancio preventivo dello Stato tutti quei risparmi; tanto, avranno pensato i tecnici nominati, i politici eletti più che chiacchiere non faranno; ci avevano visto bene.
Questa parodia di accordo non estende il limite temporale per la maturazione della decorrenza della pensione rispetto al decreto 55.000, se non per gli esodati con procedure di mobilità; non elimina il paletto per i contributori volontari di avere versato almeno un contributo antecedentemente al 6 dicembre 2011; non include i licenziati senza accordi collettivi o individuali; continua a lasciare escluso qualsiasi lavoratore che dopo il licenziamento abbia avuto un lavoro a termine guadagnando più di 7.500 € in un singolo anno anche se poi è ripiombato nella disoccupazione per magari tre anni; neppure si occupa dei lavoratori (soprattutto donne) che con 15 anni di contributi aspettavano di accedere alla pensione (minima) al raggiungimento dei 60 anni e che ora devono versare di tasca propria altri 5 anni di contributi.
Insomma, praticamente l’accordo non fa niente o quasi per gli esodati e il poco che fa lo fa a carico esclusivo dei pensionati. Infatti, contrariamente alla proposta di finanziamento della defunta proposta di legge 5103, che prevedeva di istituire una aliquota temporanea del 3% aggiuntivo sulle quote di reddito superiori a 150.000 €/anno e che avrebbe colpito allo stesso modo le pensioni elevate e i redditi da lavoro parimenti elevati, l’emendamento concordato ieri prevede che il finanziamento sia ora effettuato bloccando per il 2014 l’indicizzazione delle pensioni da 3.000 €/mese lordi in su, ovvero meno di 40.000 € lordi all’anno; ai nobili fautori dell’accordo deve essere peraltro sfuggito che tali pensioni sono già bloccate per il 2012 e 2013 e che quindi, con un’inflazione al 2,5 % all’anno si svaluteranno entro fine 2014 di circa l’8%.
Deve essere sembrato un accordo socialmente equo, ma il come mi sfugge, dato che pianifica di decurtare le pensioni in termini reali di un ammontare molto significativo in tre anni. Con questo ritmo ci vuole pochissimo tempo per trasformare delle pensioni decenti, costruite con decenni di contribuzione, in assegni da sopravvivenza, livellandole verso le pensioni sociali non sostenute da contributi. Un pasticcio; un pasticcio scriteriato dove il rimedio diventa persino peggiore del male, perché il voler finanziare la soluzione di un problema sociale solo dalla previdenza già drenata allegramente è cinico, anzi volutamente vessatorio.