Trastevere, tredicesimo rione di Roma, nel primo pomeriggio di ieri, in molti, hanno partecipato a quella che, volendo rispettare le convenzioni, dovremmo chiamare «occupazione». Innanzitutto, però, l’“America” è un cinema chiuso e in stato di abbandono da circa 12 anni, e allora potremmo parlare, tanto per cominciare, di «riapertura al pubblico».
La Progetto Uno s.r.l., acquisita la proprietà dello stabile, nel giugno 2004 aveva presentato al Comune di Roma una proposta di Piano di recupero ai sensi dell’art. 30, legge n. 457/78, rubricata Norme per l’edilizia residenziale e che istituisce un piano decennale per interventi di edilizia sovvenzionata diretti alla costruzione di abitazioni e al recupero del patrimonio edilizio degli enti pubblici. La proposta della Progetto Uno s.r.l. prevedeva la destinazione dello stabile in gran parte ad uso residenziale e a parcheggi, ed in piccola parte ad esercizi commerciali. L’opposizione degli abitanti impedì la conclusione dell’iter di approvazione del Piano di recupero e, quindi, fece ricadere l’edificio sotto la disciplina prima della succitata delibera n. 661 del 2005 e poi del nuovo Piano regolatore generale nel frattempo approvato dal Comune di Roma (delibera n. 64 del 22 marzo 2006), ai sensi del quale l’immobile rientra nei Tessuti di ristrutturazione urbanistica otto-novecentesca (T3) della Città storica, precludendo definitivamente la realizzazione del descritto progetto.
Fallita, poi, l’azione giudiziaria tesa al cambiamento del piano regolatore (sentenza del Consiglio di Stato n. 4543/2010 del 13 luglio 2010 e ridotti, quindi, notevolmente i margini di profitto, come spesso accade, il privato, piuttosto che rispettare i vincoli di legge, preferisce lasciare l’immobile di sua proprietà in stato di abbandono e disuso, regalando ai cittadini un nuovo scorcio di fatiscenza incastonato nella cornice del centro storico a mo’ di sfottò, proprio dove, secondo lo strumento urbanistico, doveva sorgere uno spazio destinato, almeno in parte, ad uso pubblico. L’abbandono diventa quindi sottrazione di uno spazio alla comunità a dispetto dei vincoli urbanistici posti a tutela di un diritto della collettività ed di un interesse pubblico. Ecco perché, spingendosi oltre le convenzioni, quella di ieri potrebbe essere considerata per certi versi una «riappropriazione» più che un'”occupazione”.
La vicenda riporta ad un altro edificio, stavolta di proprietà pubblica, sempre nel rione Trastevere: il Palazzo degli esami, edificio del 1912, ex sede dei concorsi di Stato, ormai da dieci anni in fase di ristrutturazione; una voragine di denaro pubblico che, anche a lavori fermi, ha inghiottito 600 mila euro all’anno solo per la permanenza dei ponteggi, a tutto vantaggio della Imac S.p.A. che doveva occuparsi della ristrutturazione. Sull’edificio è stato imposto il segreto di Stato, in un primo momento, perché doveva ospitare i servizi segreti, poi, trovato un altro tetto per gli 007, il segreto di Stato è rimasto, giustificato dal fatto che – pare – la struttura sia ora destinata alla Guardia di finanza. Piccola precisazione, la ditta appaltatrice dei lavori è di proprietà di Pierfrancesco Murino, rinviato a giudizio per corruzione e associazione a delinquere nell’inchiesta sugli appalti del G8 e dei Grandi eventi. Alla luce di tutto ciò sia consentito almeno il dubitare che dietro il segreto di Stato si celi l’intenzione di tenere i cittadini all’oscuro riguardo a ciò che attiene la destinazione dell’immobile e l’utilizzazione dei fondi pubblici destinati alla sua valorizzazione.
Le due vicende di gestione del patrimonio edilizio offrono alcuni spunti di riflessione. Il caso del Cinema America, come abbiamo detto, testimonia il fallimento del privato nel conciliare il proprio profitto con gli interessi pubblici. Il Palazzo degli Esami è invece un esempio di cattiva gestione pubblica. Emerge la negazione di qualsiasi possibilità di partecipazione dei cittadini alle scelte che riguardano la gestione del proprio territorio, tuttavia, nel caso del Palazzo degli Esami non ci si può limitare a parlare di malagestione pubblica. In tempi in cui la leva del debito spinge in maniera strumentale verso la privatizzazione del patrimonio pubblico e dei servizi essenziali, va osservato, invece, come un meccanismo vizioso veda, in sostanza, la politica corrotta fare gli interessi dei privati nella concessione di appalti, in questo modo creando quello stesso debito che serve a giustificare la spinta alla privatizzazione.