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Crisi Ue, parte dalla Francia l’attacco al “mito della competitività” come panacea

Le Monde diplomatique come l'economista Krugman che aveva già stigmatizzato "l'ossessione falsa e pericolosa", punta il dito contro una ricerca "così inconcludente nella sua lotta contro le delocalizzazioni ma che offre un comodo alibi per gonfiare la remunerazione del capitale"

E’ la parola magica. A destra ma ormai anche a sinistra. La competitività: la capacità dell’economia e dell’industria nazionale di competere con gli altri Paesi diventa la sfida numero uno per uscire dalla crisi. Così è in tutta Europa, ma soprattutto in Francia, dove ancora ieri sera il presidente François Hollande, nella sua prima lunga e solenne conferenza stampa, sei mesi dopo l’elezione, ha fatto ricorso a più riprese, ancora una volta, a quel leitmotiv, la “compétitivité“. Da Parigi, però, parte pure la reazione al solito ritornello: la polemica.

In questi tempi di finanza allegra, di speculazioni, di mercati che attendono regole, siamo sicuri che il problema da risolvere in priorità sia quello della competitività industriale? Il dibattito è stato aperto da un lungo articolo apparso nell’edizione di ottobre del Monde diplomatique, scritto da un geografo, Gilles Ardinat, e dal titolo “La compétitivité, un mythe”: “La competitività, un mito”. Lo è davvero per tutti, anche perché l’Unione europea ne ha fatto una priorità per uscire dalla crisi.

E così, in Francia, un esempio come un altro tra le risposte dei Paesi del Vecchio Continente al diktat comunitario,  alla fine del suo mandato Nicolas Sarkozy, quando cercò di rilanciare l’occupazione, diede vita gli accordi “competitività-impiego”. E poco più di una settimana fa, ormai nell’era Hollande, Louis Gallois, ex manager pubblico ingaggiato dal nuovo governo del socialista Jean-Marc Ayrault, ha presentato l’attesissimo rapporto sulla competitività. E’ sulla base delle sue indicazioni che l’Esecutivo francese ha subito varato una riduzione del costo del lavoro, con un taglio di 20 miliardi ai contributi sociali dovuti dagli imprenditori. L’operazione, però, sarà finanziata in gran parte con un ritocco verso l’alto dell’Iva.

Ardinat, su Le Monde diplomatique, arriva proprio alla conclusione che “queste politiche, rivolte ad accrescere la competitività, rispondono alle attese degli imprenditori in materia di riduzione del costo del lavoro”. Insomma, alla fine rappresentano una scusa per alleggerire i contributi a favore delle aziende, in una fase in cui si dovrebbe forse guardare anche ad altro: le derive della finanza, ad esempio. Si giustifica il tutto con la lotta alla deindustrializzazione, la tendenza a trasferire la produzione dove i salari sono più bassi. Ma alla fine la differenza è tale che un meno 6% del costo del lavoro, come quella ottenuta da Hollande con le misure della settimana scorsa, non è sufficiente a colmare il divario.

“Sorprendente casualità, la ricerca della competitività, così inconcludente nella sua lotta contro le delocalizzazioni – continua l’articolo di Le Monde diplomatique -, offre un comodo alibi per gonfiare la remunerazione del capitale… “. Ardinat ricorda anche come, “nonostante l’infatuazione che suscita, il concetto risulti particolarmente fragile dal punto di vista scientifico”. In realtà trasferisce una nozione micro-economica (la competitività dei prodotti e delle imprese) su un piano politico (la competitività dei territori dei Paesi).

Lo stesso Paul Krugman, Nobel per l’economia 2008, ha scritto che “la competitività è una parola priva di senso quando è applicata alle economie nazionali. L’ossessione della competitività è al tempo stesso falsa e pericolosa”. Krugman ha puntato il dito su “l’industria” dei rapporti sulla competitività, che “si accontentano – ricorda l’articolo di Ardinat – di riciclare e risistemare gerarchie economiche sviluppate altrove: rischio Paese (i lavori di società assicurative come la Coface), classifiche del Prodotto interno lordo pro capite o sul clima degli affari (indice Doing Business della Banca mondiale)”.

Al di là di questo dibattito, comunque, Hollande e compagnia vanno avanti con convinzione. Appena il rapporto Gallois sulla competitività è uscito (e, pur essendo stato commissionato da un Governo di sinistra, venne subito osannato dalla destra e dal Medef, la Confindustria francese), si disse subito che Hollande lo avrebbe lasciato, inutilizzato, in un cassetto. E invece no. Già il giorno dopo è scattato il regalino sui contributi sociali agli imprenditori, come consigliato dal team di esperti capitanato da Gallois.