Accade ad Atene, dove la cura ha quasi ucciso il paziente e i medici non solo non sanno più che pesci prendere ma stanno litigando fra di loro. Mercoledì il dato sul Pil greco (-7,2%) ha definitivamente certificato il fallimento delle misure di austerity pensate dalla Troika Ue-Bce-Fmi: in cinque anni l’economia di Atene è crollata del 22% e l’obiettivo di far scendere il rapporto debito-Pil al 120% entro il 2020 è già oggi irrealizzabile, anche perché la Grecia ha bisogno di nuovi prestiti che farebbero aumentare ulteriormente l’indebitamento.
Ai Paesi forti dell’Unione Europea non resta altra strada che lasciar andare la Grecia alla deriva (dopo averne azzoppato in maniera irreparabile l’economia) o regalarle dei soldi, che non verrebbero dunque inclusi nel calcolo del debito pubblico. Ed è proprio questa seconda strada che, stando alle indiscrezioni riportate dalla Sueddeutsche Zeitung, si starebbe battendo a Berlino. Per la prima volta dall’inizio degli aiuti Angela Merkel, che ufficialmente prende le distanze dall’ipotesi, sarebbe pronta a spiegare ai propri connazionali che parte dei capitali prestati non torneranno più indietro, cosa che fino a ieri era stato uno dei suoi punti fermi.
La stessa cosa, però, dovrebbero spiegarla anche Francois Hollande ai francesi e Mario Monti agli italiani. Secondo il quotidiano di Monaco di Baviera si sarebbe giunti a questa soluzione dopo un duro scontro fra il direttore del Fmi, Christine Lagarde, e il presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker. La prima avrebbe minacciato di non far più partecipare il Fondo Monetario Internazionale al salvataggio di Atene se le capitali europee non si fossero fatte carico della nuova voragine apertasi nelle finanze greche (32,6 miliardi di euro nel triennio 2014-1026).
Anche la Bce di Mario Draghi si sarebbe detta disponibile a dare il proprio contributo, girando al governo di Antonis Samaras le probabili plusvalenze realizzate con gli acquisti dei titoli greci. A partire dalla primavera 2011 l’Eurotower ha infatti effettuato massicci acquisti di titoli governativi greci a prezzi stracciati e grazie alla risalita delle quotazioni avvenuta negli ultimi mesi, da cui hanno tratto profitto anche alcuni grandi hedge fund americani, vanta ora guadagni in conto capitale (oltre ovviamente agli interessi incassati).
Le differenze di vedute fra i membri della Troika non si limitano però alla decisione su chi deve farsi carico del nuovo buco. La Ue, per esempio, vuole concedere ad Atene tempo fino al 2022 per riportare il rapporto deficit-Pil al 120%, mentre il Fondo non vuole concedere proroghe e pretende che sia rispettata la scadenza del 2020. Inoltre, la Germania (e quindi l’Eurogruppo) non vogliono sentir parlare di una nuova ristrutturazione del debito greco, mentre Bce e Fmi la ritengono una cosa inevitabile. In una situazione così compressa e complicata il prossimo 20 novembre la riunione dell’Eurogruppo cercherà di trovare almeno un compromesso che tamponi le falle nell’immediato e consenta ad Atene di ricapitalizzare con urgenza le sue banche, rimandando ancora una volta la ricerca di una soluzione sostenibile nel lungo periodo.