Non è da tutti riuscire a mettere d’accordo quasi all’unanimità un’intera sala di giornalisti. Da questo punto di vista Paolo Franchi, regista bergamasco che ha presentato ieri mattina E la chiamano estate al Festival del Cinema di Roma, può vantare una traguardo senz’altro raro.
Il problema è che il giudizio collettivo nei confronti del film, terzo concorrente italiano al Marc’Aurelio d’Oro assieme ad Alì ha gli occhi azzurri e al graffiante Il volto di un’altra, è lapidario e definitivo. Ne sono testimonianza le risate ben udibili alla proiezione stampa, che sono idealmente proseguite anche nell’acceso incontro con i giornalisti poche ore dopo. Inutili i tentativi della moderatrice di riportare il dibattito su toni neutri, la critica ha emesso il proprio giudizio e, oltre che delusa, è apparsa addirittura indignata.
Franchi era già stato massacrato in Concorso a Venezia con il precedente Nessuna qualità agli eroi, si sarà quindi abituato, e viene da pensare che Marco Müller lo utilizzi come arma tattica per creare scompensi umorali in una metà rassegna a rischio letargo. Il film racconta mischiando piani temporali, veglia e sonno, realtà e finzione, la difficile storia d’amore tra Dino (Jean-Marc Barr) e Anna (Isabella Ferrari). Lui la ama ma non riesce a consumare. Frequenta locali per scambisti, fa il “terzo” di una coppia borghese, va spesso con prostitute ma niente: con Anna l’amore non riesce proprio a farlo. Si sente in colpa ed è dannatamente triste. Tra una Isabella Ferrari quasi sempre nuda e un Jean-Marc Barr inespressivo, il film sembra il fratello sbagliato di Shame, anche per colpa della prosopopea e della seriosità con cui Franchi affronta il tema.
Tra le domande poste al regista, il perché sia stato scomodato un poeta musicale come Bruno Martino per dare titolo ad un film che tratta tematiche diametralmente opposte rispetto a quelle della splendida canzone omonima. Il povero Franchi è stato attaccato da tutti i fronti, e vorremmo poter dire che è riuscito a difendere il suo prodotto, come fatto in precedenza da Carlo Lucarelli che, con L’isola dell’angelo caduto, ha ricevuto non poche critiche. E invece no, Franchi ha conservato un atteggiamento che definire laconico è un mero eufemismo, riservando alla platea inviperita risposte che spaziavano dal “non so cosa rispondere” al “non lo so” passando per il magistrale “non ho ascoltato la domanda, stavo pensando ad altro”.
Ci ha provato la produttrice Nicoletta Mantovani a risollevare un po’ le sorti della discussione, difendendo la propria creatura e puntando il dito contro la critica, colpevole di non sostenere un prodotto coraggioso e autoriale. Le ha fatto eco Isabella Ferrari, che ha descritto con toni entusiastici la propria esperienza sul set, in cui ha dovuto mettersi in gioco in sequenze di sesso molto spinte, sottolineando poi come E la chiamano estate sia “uno dei rari esempi di cinema italiano completamente indipendente”. Una dichiarazione che però sembra contraddire quanto avevano confermato poco prima le produttrici, ovvero il contributo di 400mila euro da parte del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali.
Evidentemente estenuato dai continui attacchi, il regista si è lasciato andare a una considerazione: “Io non pretendo certo di piacere a tutti. Ho fatto un film che è una riflessione profonda sull’amore fuori dalla logica dei Baci Perugina, l’amore duro e doloroso. Se poi questo non è piaciuto a qualcuno, io non posso farci nulla. Non ho l’arroganza di pretendere che il mio film rientri nei gusti di tutti”. In realtà l’impressione è che, a dispetto di quanto detto timidamente da Franchi, il film non sia proprio piaciuto a nessuno. L’uscita di E la chiamano estate nelle sale italiane è fissata per il 22 novembre; vedremo quale sarà il responso del pubblico a questo film che ha tanto scaldato il cuore – in senso negativo – dei giornalisti nostrani.