Il costo delle materie prime aumenta e l’Ilva di Taranto accusa i custodi giudiziari. Gli impianti dello stabilimento ionico potrebbero fermarsi il prossimo 14 dicembre a causa del blocco dell’approvvigionamento di materie prime disposto dai custodi e che secondo il presidente del cda Ilva, Bruno Ferrante, “determinerà effetti devastanti per l’Ilva dovuti alla fermata, non in sicurezza, di tutti gli impianti dell’area a caldo con conseguente esposizione a gravi rischi di incidente rilevante e danni irreparabili agli impianti”.
Ferrante, insomma, nella lettera inviata al procuratore della Repubblica Franco Sebastio e ai tre tecnici Barbara Valenzano, Emanuela Laterza e Claudio Lofrumento, scarica la responsabilità proprio su questi ultimi. In particolare punta il dito contro la disposizione di servizio che il 7 novembre scorso in cui gli ingegneri hanno chiarito “che non saranno rilasciate ulteriori autorizzazioni allo scarico per approvvigionamenti di materiali che comportino giacenze superiori a 15 giorni e per quantitativi superiori a 15.000 tonnellate”. Una grossa tegola per l’azienda che invece dichiara che le le direttive contenute nel documento dei custodi evidenziano “la palese incompatibilità delle stesse con i programmi operativi dello stabilimento per il periodo in esame e noti ai custodi”.
Dietro le lamentele dell’azienda, in realtà, c’è l’aumento vertiginoso dei costi per l’approvvigionamento delle materie prime. Nella conclusione del documento, infatti, i tre tecnici di Ilva che hanno curato la relazione lo scrivono chiaramente: “Dal 12 novembre, data di comunicazione delle disposizioni dei Custodi Giudiziari, a oggi sono già stati accumulati maggiori oneri di Ilva” per l’attesa delle navi in rada “pari a $ 850.000”. A spaventare Ferrante e il suo staff ci sarebbe proprio la movimentazione delle navi e il costo aggiuntivo dovuto ai giorni che le navi trascorrono alla fonda. Un costo che secondo le stime dell’Ilva potrebbe arrivare a oltre 12 milioni di dollari.
Quello che l’Ilva non ha scritto nelle sette pagine di missiva, completa di grafici che indicano il vertiginoso ribasso del materiale nel parco minerali, è l’altrettanto vertiginoso calo della polvere sul quartiere Tamburi. Grazie infatti alla disposizione dei custodi del 7 settembre, le montagne di minerale di ferro e carbone si sono ridotte del 40% e i cumuli sono passati da un’altezza di 30 metri a soli 15 metri. Quello che l’Ilva non ha scritto è che prima di queste misure l’enorme giacenza di materie prime provocava uno sversamento di polveri verso il quartiere Tamburi pari a 668 tonnellate all’anno, come hanno scritto i periti del gip Patrizia Todisco.
Ferrante, del resto, ha sempre negato che a Taranto ci sia una vera emergenza sanitaria e le perizie che l’azienda ha commissionato, e che finora sono solo state annunciate, lo dimostrerebbero. Per ora restano i dati del progetto sentieri che testimoniano come a Taranto si muoia di più e la perizia ambientale dei periti del gip che spiegano come al quartiere Tamburi si a riscontrabile una maggiore incidenza di malattie e morte.
Intanto l’Ilva attende l’ok del ministero al piano di attuazione presentato nei giorni scorsi al ministro Corrado Clini – distante anni luce dalle misure imposte dai custodi e dalla stessa commissione Aia – per presentare l’istanza di dissequestro degli impianti che Ferrante ha annunciato nei giorni scorsi. Un’istanza mirata a ottenere il permesso di produrre e che, invece, la magistratura tarantina non sarebbe intenzionata a concedere. E se la politica nazionale si schiera accanto all’azienda e la politica locale attende di scoprire gli esiti dell’inchiesta che collega le istituzioni all’ex pr dell’Ilva Girolamo Archinà, l’unica voce fuori dal coro sembra esssere quella di Michele Pelillo, assessore regionale al bilancio. “Basta giocare a nascondino – ha detto l’esponente democratico della giunta guidata da Nichi Vendola – l’Ilva non deve più nascondersi dietro alla Procura. Deve spiegare cosa vuole fare, quali sono gli obiettivi, quali risorse impiegherà, quali saranno i tempi. Se l’obiettivo è il risanamento, l’Ilva deve rendere moderni ed ecocompatibili gli impianti ed illustrare, nel dettaglio, le modalità di investimento. Dire che è impossibile applicare l’Aia con gli impianti sotto sequestro e – contemporaneamente – continuare a produrre, è una contraddizione in termini”.
E’ “inammissibile”, continua Pelillo, “che continui il braccio di ferro con il Governo e con la Procura e che –ha proseguito Pelillo – non si abbiano certezze sul piano industriale e sull’impegno finanziario dell’Ilva per l’ambiente e la salute. Un attacco duro quello dell’assessore tarantino che poi ha concluso dicendo “E’ finito il tempo degli alibi e dei paraventi; i cittadini, gli ammalati, gli stessi lavoratori del siderurgico hanno il diritto di conoscere le intenzioni dell’azienda. Giocare a carte scoperte è l’unica strada percorribile per uscire da quest’impasse e fare la cosa migliore per il territorio”.