Nell'occhio del ciclone la pratica innovativa che ha contraddistinto il rapporto degli eletti con Grillo e i loro elettori. Non una regola ma una scelta volontaria dei consiglieri da effettuare ogni sei mesi. Favia: "Per me è un obbligo morale"
Un’idea autonoma, proposta dall’assemblea del Movimento 5 stelle di Bologna, per provare a mettere in pratica un primo esperimento di democrazia partecipata e di controllo dal basso. Nascono così, tre anni fa, le verifiche semestrali degli eletti a 5 stelle. E presto diventano bandiera della diversità rispetto agli altri partiti, tanto da essere inserite nel programma nella campagna elettorale emiliana del 2010. Il promotore è soprattutto l’attuale consigliere regionale, Giovanni Favia. Ma la proposta ha successo e altri decidono di seguire l’esempio: Ravenna, Milano, Rimini. Ognuno con declinazioni differenti. “Noi avevamo promesso la revoca del mandato, quindi sentiamo l’obbligo morale di farlo ogni sei mesi– specifica Favia – ma non esiste alcuna regola”. Nessun vincolo o pressione, quindi. “Beppe Grillo ha ragione quando dice che non siamo costretti a dimetterci, è una scelta personale di ognuno di noi. Io, ad esempio, ho deciso di fare un passo indietro se non ottengo la maggioranza dei voti durante le riunioni”.
Dopo la bufera scatenata da Federica Salsi con la sua partecipazione a Ballarò, Grillo aveva tenuto a chiarire, sul blog, la natura delle riunioni convocate dagli eletti due volte l’anno. “Il consigliere, il sindaco o il parlamentare non ha alcun obbligo di rimettere il mandato periodicamente. Nel caso questo avvenisse deve essere preceduto da un’informazione pubblica e dettagliata del suo operato sul portale del Movimento, con una votazione estesa a tutti gli iscritti del comune e della regione di rifermento, o dell’intero corpo elettorale in caso del Parlamento”. Un punto chiave, ribadito anche oggi, dopo che gli applausi raccolti da Salsi durante l’incontro bolognese sono stati letti da molti come una riconferma del mandato. L’interpretazione infatti non è piaciuta a Grillo, che frena: “I giornalisti insistono con la fiducia a questo o a quell’altro esponente del Movimento data con l’applausometro o con il voto per alzata di mano di poche decine di persone la cui l’iscrizione al M5S non viene certificata formalmente”.
Con toni meno aspri, anche Favia ribadisce lo stesso concetto: “Gli applausi hanno un valore più che altro simbolico, sono la prova dell’affetto e del calore nei confronti di Federica, ma non hanno un valore formale”. Anche perché nelle verifiche semestrali di Bologna non è previsto il voto: “Noi, in Regione – spiega Favia – illustriamo la nostra attività e alla fine rimettiamo il mandato di ogni , chiedendo di confermarlo o di mandarci a casa, ma altri gruppi usano metodi diversi di valutazione dal basso. Dipende dal regolarmente che si decide di adottare”. In questi due anni, Favia e Defranceschi, nei loro tour semestrali per le province della regione, hanno incontrato oltre 2000 persone. “Abbiamo scelto questa modalità e la portiamo avanti, altrimenti perderemmo credibilità. Nessuno ci obbliga. E comunque sono incontri molto partecipati, la gente dimostra di apprezzare”.
Le assemblee degli eletti in Comune a Bologna, invece, funzionano diversamente. Sono più che altro dedicate all’esposizione e al confronto con gli attivisti sul lavoro portato avanti nelle istituzioni. Se qualcuno chiede le dimissioni dei consiglieri, viene convocata una seconda riunione di chiarimento e solo al termine di questa viene convocata la votazione. Un passaggio formale e organizzativo, che è mancato nell’incontro di mercoledì sera con Federica Salsi, e che ha spinto Grillo a scagliarsi soprattutto con la stampa: “I ragazzi del Movimento da sempre si riuniscono per discutere con i loro portavoce, ma la fiducia va gestita in modo formale. Non siamo all’asilo Mariuccia, cari pennivendoli“.