Incredibile ma vero, un esperto di Antitrust comunitario come Mario Monti, memorabile Commissario europeo alla concorrenza fino al 2004, fa uno scivolone tale in tema di aiuti di Stato, da rischiare di dover varare in fretta e furia una nuova legge per salvare il Monte dei Paschi di Siena senza violare le regole. E non strapagando le azioni della banca (circa 1 euro l’una contro i 20 centesimi di valore di mercato attuali) per avere in cambio una partecipazione risibile.
E’ quanto sostiene l’agenzia Reuters, che ha riferito oggi dell’ultima puntata del braccio di ferro tra il ministero dell’Economia la Commissione europea sul tema dei 3,4 miliardi di euro che lo Stato vorrebbe erogare alla banca senese in dissesto per la costosissima acquisizione di Banca Antonveneta effettuata nel 2007 dalla gestione di Giuseppe Mussari e finita nel mirino della magistratura.
Ebbene, il ministero che è passato dalle mani di Monti a quelle di Vittorio Grilli a luglio, proprio mentre veniva varato il decreto sui Monti bond, veicolo scelto per l’erogazione degli aiuti, potrebbe dover ricorrere a un nuovo intervento legislativo per trovare una mediazione nella disciplina dell’emissione a favore di Mps rispetto alle richieste della Commissione europea che vorrebbero parametrare il pagamento delle cedole in azioni della banca – previsto nel caso più che probabile in cui la banca che viaggia in profondo rosso non abbia di che pagare gli interessi – al valore di mercato e non al patrimonio netto, come invece il Tesoro vuole e ha fatto scrivere nel decreto estivo.
Lo ha riferito all’agenzia una fonte a conoscenza dei negoziati tra Roma e Bruxelles aggiungendo che “il confronto dovrebbe chiudersi a giorni”. E secondo la quale “ci sono soluzioni alternative, ma potrebbero richiedere una modifica della norma primaria”, cioè l’articolo 23-decies della legge sulla Spending review nella quale era stato inserito il capitolo Monti bond.
Ricapitolando, Mps aveva chiesto gli aiuti di Stato e dovrà emettere entro fine anno 3,4 miliardi di obbligazioni per inglobarvi 1,9 miliardi di vecchi Tremonti bond e riuscire ad essere in linea alle richieste dell’Eba, l’Autorità bancaria europea. Il decreto sui Monti bond prevede che se il Monte dei Paschi non avrà i soldi per pagare gli interessi al suo investitore, lo Stato – che sono stimabili in 340 milioni l’anno se la cedola fosse del 10% anche se il tasso d’interesse è in via di definizione – dovrà emettere nuove azioni a favore del Tesoro.
La fonte riferisce inoltre che “la Commissione europea continua ad essere contraria all’obbligo di pagare le cedole con azioni valorizzate in base al patrimonio netto nel caso in cui il bilancio della banca si chiuda in perdita”. Anche perché si tratterebbe di una violazione della concorrenza: con una quotazione di 20 centesimi per azione, il mercato attribuisce al Monte dei Paschi un valore di circa 2,4 miliardi di euro, ovvero un quarto dell’intero patrimonio netto di gruppo (10 miliardi a fine settembre).
Se, quindi, si usasse come parametro il patrimonio netto come vorrebbe il Tesoro e, di conseguenza, il valore di libro delle azioni che è di circa 1 euro, lo Stato in un anno di mancato pagamento in contanti avrebbe una quota della banca vicina al 3,5 per cento. Ma alle quotazioni attuali, se il parametro usato fosse, come vuole l’Ue, il prezzo di mercato, la quota per il Tesoro sarebbe vicina al 15 per cento.
Secondo i tecnici di Bruxelles, in parole povere, il decreto varato quest’estate implicherebbe il pagamento da parte del Tesoro di una specie di “premio” per salvare la banca accettando azioni al valore di libro invece che al valore di mercato. Uno scenario in contrasto con le più recenti regole europee sugli aiuti di Stato alle banche indicate dalla Commissione, che chiede ai Paesi membri di limitare gli interventi “al minimo necessario” e di evitare “indebite distorsioni della concorrenza” (comunicazione 8744 del 2011, in vigore da gennaio 2012).
Se la soluzione concordata da governo e Commissione europea rendesse necessario un intervento di legge, “i tempi ridotti richiederebbero la presentazione di un emendamento a un decreto legge in corso di conversione”, prosegue la fonte. Il veicolo legislativo potrebbe essere il decreto Sviluppo (in prima lettura al Senato), che recepisce il regolamento del Parlamento europeo in materia di credit default swap ed è quindi coerente con un emendamento in materia finanziaria. La fonte dice che in alternativa il governo potrebbe intervenire attraverso il decreto sui costi della politica a livello locale (approvato in prima lettura martedì 13 novembre dalla Camera), dove però i rischi di bocciatura per estraneità della materia sono maggiori.
Ma i guai del Monte, con l’operazione Antonveneta ancora tutta da chiarire, non finiscono qui. Per la banca ora nelle mani di Alessandro Profumo, a sua volta sotto processo a Milano per la maxi evasione fiscale di Unicredit ribattezzata Brontos, si profila infatti un nuovo contenzioso con l’Agenzia delle Entrate, dopo che i verificatori hanno accesso i fari su operazioni condotte da Mps Finance, oggi State Street Bank, quando faceva parte del gruppo di Rocca Salimbeni.
Il possibile contenzioso riguarda diverse operazioni di trading su azioni perfezionate a cavallo dello stacco dei dividendi nel 2007. In quell’anno la banca era ancora nell’orbita senese che poi la cedette a Intesa Sanpaolo. Quest’ultima nel 2010 la vendette a sua volta al gruppo State Street da cui ha preso la nuova denominazione. Il processo verbale di constatazione è stato inviato alla State Street Bank italiana meno di un mese fa, come si legge nella relazione trimestrale del Monte dei Paschi.
La banca non prevede, tuttavia, impatti futuri significativi sul conto economico per questi rischi anche per effetto degli stanziamenti già effettuati nel 2011 a seguito della chiusura di un altro contenzioso. A dicembre dello scorso anno, infatti, Mps aveva staccato un assegno da 260,2 milioni all’Agenzia delle Entrate per chiudere le contestazioni riguardanti operazioni di trading su azioni realizzate dal 2002 al 2008. Contestazione che l’amministrazione fiscale ha fatto appunto anche ad altre banche italiane sull’ipotesi di indebito beneficio fiscale ottenuto tramite la corretta applicazione delle norme (il cosiddetto abuso di diritto). Mps, come altri istituti, ha deciso alla fine di chiudere l’accordo con l’Agenzia delle Entrate pur rimanendo “pienamente convinta della correttezza del proprio operato”.