Quello sulla trattativa tra pezzi delle istituzioni e Cosa Nostra è un processo che non s’ha da fare. Almeno non a Palermo. È quello che pensano i legali di Marcello Dell’Utri, senatore del Pdl accusato di essere uno degli “uomini cerniera” del patto mafia-Stato, messaggero delle minacce di Cosa Nostra all’allora neo presidente del consiglio Silvio Berlusconi nel 1994. Gli avvocati Giuseppe Di Peri e Massimo Krogh hanno infatti annunciato che presenteranno eccezione di competenza territoriale: vogliono, cioè, che il processo venga spostato in un’altra sede giudiziaria.
Il reato per cui è imputato Dell’Utri (insieme a Calogero Mannino, ai boss mafiosi Totò Riina, Bernardo Provenzano, Antonino Cinà, Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, e agli alti ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno) è quello disciplinato dall’articolo 338 del codice penale, ovvero violenza o minaccia al corpo politico dello Stato, con l’aggravante dell’articolo 7, per aver favorito Cosa nostra. Secondo i legali quindi, se una minaccia è stata rivolta allo Stato, il fatto delittuoso non poteva che commettersi a Roma, sede del governo, e non a Palermo. Una mossa che potrebbe essere replicata anche da alcuni altri legali dei dodici imputati.
I legali di Dell’Utri avevano già sollevato eccezione di competenza territoriale per l’indagine che vedeva il senatore del Pdl accusato di estorsione ai danni di Berlusconi: in quel caso avevano ottenuto che l’indagine venisse spostata a Milano. Adesso potrebbero chiedere che la nuova sede del procedimento sul patto mafia-Stato sia Roma, o in alternativa Caltanissetta: come dire tutto, tranne Palermo.
Dopo anni di indagini, l’inchiesta sulla Trattativa è approdata alla sua seconda udienza preliminare e ha già visto presentate una serie di eccezioni delle varie difese. L’ultima è quella dei legali di Nicola Mancino. L’ex ministro dell’Interno aveva infatti chiesto al gup Piergiorgio Morosini lo stralcio della sua posizione, ovvero di essere giudicato separatamente dagli altri imputati, dato che gli sono stati contestati reati diversi commessi in momenti differenti. Mancino infatti è accusato di falsa testimonianza, perché, secondo la procura, non avrebbe detto tutta la verità testimoniando in aula al processo contro Mario Mori per la mancata cattura di Bernardo Provenzano il 24 febbraio scorso. Dopo una breve camera di consiglio, alla fine della lunghissima udienza odierna, Morosini si è però opposto alla richiesta dell’ex presidente del Senato, che quindi verrà giudicato insieme agli altri undici imputati.
Fino a ieri lo stesso Morosini aveva rischiato di dover lasciare il suo ruolo di giudice per l’udienza preliminare del procedimento. Dopo la prima udienza preliminare era infatti stata presentata un’istanza di ricusazione dall’avvocato Giuseppe Saccone, legale di De Donno. Per Saccone, Morosini aveva già espresso valutazioni sul processo in corso durante alcune interviste rilasciate nei mesi scorsi. La corte d’appello ha però respinto la richiesta e Morosini è potuto dunque rimanere a celebrare la prima fase del processo più delicato degli ultimi anni.
Un procedimento in cui è difficile esprimersi persino sulle parti offese. Morosini ha accettato la costituzione come parte civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri, di Rifondazione Comunista, del Comune di Palermo, del Centro Pio La Torre, del sindacato di polizia Coisp, dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro, che sarebbe stato calunniato da Massimo Ciancimino, e dei familiari dell’ex eurodeputato Salvo Lima, assassinato il 12 marzo ’92 in quello che è considerato il primo atto di guerra della mafia contro lo Stato. Parte civile nel processo sulla Trattativa sarà anche il movimento della Agende Rosse, rappresentato in aula da Salvatore Borsellino, il fratello minore di Paolo Borsellino, il magistrato assassinato nel botto via d’Amelio il 19 luglio del 1992.
Il fondatore delle Agende Rosse aveva richiesto di costituirsi parte civile anche in qualità di familiare di Paolo Borsellino, ma il pm Antonino Di Matteo e il gup Morosini si sono opposti. Secondo Morosini, i familiari di Paolo Borsellino, così come quelli delle altre vittime della strage di via d’Amelio, non sarebbero infatti legittimati come parti lese all’interno del procedimento. A sorpresa, non ha invece presentato richiesta di costituzione come parte civile la Regione Siciliana, nonostante il neo governatore Rosario Crocetta avesse annunciato di voler essere presente in tutti i processi di mafia.