Cronaca

50 studenti con i caschi. E 50mila senza

Sciopero generale - Studenti-Forze dell'ordineCaro ministro Cancellieri,

Ho un figlio di 16 anni. Frequenta il terzo anno del liceo Mamiani di Roma. Adolescente, come tanti di quelli che mercoledì scorso sfilavano nelle strade di Roma e di molte altre città d’Italia. Nel suo liceo, come in tanti altri, protestano, covano rabbia, fanno autogestione, rivendicano futuro, fanno i ragazzi e non mettono la testa sotto la sabbia. Un adolescente normale che odia i blocchetti di porfido, non mette caschi (anche perché non ha motocicletta), fa sport e assemblee. Uno normale.

Si pone domande e attende risposte. Come gli altri 49.950 (su 50mila) che camminavano per Roma (e le centinaia di migliaia di persone in altre città d’Europa) chiedendo scuole migliori, vite migliori, prospettive più giuste.

Ecco, dopo quel che è successo a Roma, lui mi ha chiesto di rispondere a queste due domande che le giro. Perché di sua competenza. Sono semplici, ingenue forse. Ma ineludibili. E lei, sono certo, non farà finta di non sentirle.

La prima: “Perché la polizia si accanisce contro gli studenti? Perché quei poliziotti continuavano a manganellare quei ragazzi che erano già a terra sanguinanti?”.

La seconda: “Perché questi poliziotti italiani, anziché usare i manganelli come hanno fatto anche quelli spagnoli che hanno colpito anche un ragazzino di 13 anni, non si sono schierati accanto agli studenti come invece è avvenuto in Germania?”.

Insieme ai suoi compagni di scuola, mio figlio era a un centinaio di metri dietro le cariche avvenute sul lungotevere. Accanto a lui anche alcuni suoi prof, intorno a lui migliaia di altri ragazzi come lui. Senza casco e con slogan da gridare. Protesta civile.

La sera del corteo, io facevo il turno di notte nel mio tg, gli ho fatto leggere – per vedere la sua reazione e parlarne con lui – il pezzo scritto da una collega sui fatti avvenuti nel lungotevere e gli ho fatto vedere le immagini. E quelle due domande me le ha fatte mentre guardava con me il servizio.

Certo, “la violenza non è uno strumento di confronto”, ha detto la cancelliera Merkel. E anche lei, ministro, ha ammesso: “Punirò i poliziotti violenti, ma la piazza rispetti la legalità”. Giusto! Ma 50 studenti con i caschi su 50mila senza, non giustificano quelle immagini.

Posso aggiungere altre domande mie? Eccole: cosa c’entra con l’ordine pubblico e la legalità il lacrimogeno lanciato sul corteo dalle finestre del ministero della giustizia?

Signor ministro, non c’entra nulla con le esigenze di ordine pubblico quel poliziotto in borghese che dice “va’ ffan culo!” a una signora che sul marciapiedi del lungotevere protesta per quelle manganellate su un ragazzo per terra e grida in faccia all’agente: “Sono i nostri figli, sono i vostri figli! Abbiamo il diritto di protestare!” (la scena è andata in onda giovedì sera su la7 nel programma di Santoro). Il fatto che quell’agente fa una vita grama, guadagna mille euro al mese e ha di fronte anche figlio di benestanti che mettono il casco e lanciano sampietrini, non giustifica nulla: racconta un dramma e la sconfitta dello Stato.

Lo Stato, anche nei momenti di grave crisi e di tensione sociale, non ha il diritto di mandare a quel paese nessun cittadino. Lo Stato non ha diritto alla rabbia.

Io gliel’ho detto a mio figlio: la violenza di pochi rischia di cancellare, la legittima protesta di tantissimi. Ma la risposta, davanti a quelle scene, non ha soddisfatto neanche me stesso.

Quando lei, signor ministro, risponderà in Parlamento alle domande su quanto accaduto, non dimentichi di parlare alla stragrande maggioranza pacifica di quei cortei.