Torna il popolo dell’acqua pubblica, a un anno e mezzo dal referendum che ha portato al voto 27 milioni di italiani con lo slogan “Fuori l’acqua dal mercato”. Questa volta i comitati per l’Acqua Bene Comune di tutta Italia scenderanno in piazza a Reggio Emilia il 15 dicembre per una manifestazione nazionale. “A Piacenza e a Reggio sono scaduti gli affidamenti del servizio idrico a Iren, la spa locale E’ ora di rispettare la volontà referendaria e ripubblicizzare quello che da sempre sarebbe dovuto restare in mano pubblica”, spiegano gli organizzatori. Non solo Iren, la manifestazione servirà anche per ribadire il “no” dei comitati alla possibile nascita di una “grande multi-utility del nord”, progetto da tempo sostenuto dal Ministro Passera e che dovrebbe portare alla creazione di un’unica grande azienda che gestisca acqua, rifiuti e energia in tutto il nord Italia. “Con quel progetto diventerà impossibile per i cittadini e gli enti locali controllare democraticamente la nuova società – spiega Andrea Caselli dei referendari bolognesi – L’appello che facciamo è a tutte le amministrazioni d’Italia, ma anche a tutti coloro che hanno a cuore i beni comuni, la salvaguardia del territorio e l’energia pulita”.
“Vogliamo togliere i profitti dall’acqua – spiega la piacentina Lia Zavatti – L’obiettivo primario è quello di creare un’azienda di diritto pubblico che gestisca il servizio idrico e che sia aperta alla partecipazione di cittadini e società civile. Per fare questo chiediamo a Iren prima di tutto trasparenza. Ormai diventa difficile anche solo capire quanti investimenti sono stati fatti sul territorio”. Un problema, quello degli investimenti, molto concreto. Qualche settimana fa Massimo Trespidi, presidente della Provincia di Piacenza eletto nelle liste del Pdl, ha lanciato la bomba. “Iren non fa più investimenti da due anni ed è gravemente inadempiente per circa 18 milioni di euro, noi siamo pronti ad azioni legali se non cambierà qualcosa”.
La cifra, poi ridimensionata a 15 milioni, resta al centro dei problemi cittadini, vista la richiesta di Iren di aumentare del 4,28 per cento le bollette su acqua e rifiuti. “Non possiamo votare questi aumenti – spiega il sindaco di Podenzano, Alessandro Ghisoni – Sul nostro territorio è a rischio la manutenzione ordinaria, eppure continuiamo a pagare sulle bollette gli interessi per investimenti fantasma. Vogliamo un incontro urgente con Iren”. Ma la società non è sotto controllo pubblico? “Formalmente è così – dice sconsolato Ghisoni – Purtroppo Iren è diventata troppo grande, e di conseguenza noi non abbiamo il potere di pretendere quasi nulla”.
Non c’è solo il caso Iren. Anche Hera, sorella bolognese della multiutilty che gestisce acqua e rifiuti a Piacenza, Parma e Reggio Emilia, ha i suoi problemi. Sotto accusa, ovviamente, resta la contestatissima fusione con la veneta AcegasAps. A Bologna, quando si è trattato di votare, la discussione è andata avanti fino a mezzanotte e ha spaccato la maggioranza di centro sinistra, col Pd abbandonato dai suoi alleati storici, Sel e Idv. A Forlì le cose sono andate diversamente, e il sindaco democratico Balzani ha guidato tutto il partito verso un clamoroso “no” all’operazione.
C’è poi il tema degli stipendi dei manager: il presidente di Hera nel 2011 ha sfiorato i 500mila euro, mentre l’amministratore delegato sorpassato di 18mila euro il mezzo milione. I 18 consiglieri di Hera, secondo i dati del 2011, sono costati complessivamente 2,3 milioni di euro. Anche Iren è ovviamente toccata dal problema: nel 2011 il cda ha incassato 2 milioni e 300mila euro, con i 4 top manager che da soli si sono portati a casa oltre un milione e mezzo. Tra loro spicca il conflitto di interessi di Luigi Giuseppe Villani, che oltre a sedere nel cda dell’azienda è capogruppo del Pdl in consiglio regionale. A fine settembre, quando si è trattato di votare una proposta regionale di attuazione del referendum sull’acqua, ha dichiarato senza troppi problemi di parlare “come consigliere e come dirigente Iren”.
Hera, appena diventata la seconda multiutility in Italia, ha invece recentemente annunciato tagli e razionalizzazioni delle proprie sedi. Succede ad esempio a Loiano, nell’appennino bolognese, dove la sede tecnica aziendale sarà chiusa entro dicembre, e i 13 dipendenti spostati altrove. Entro la fine dell’anno anche Vergato subirà un drastico taglio, con il presidio ridotto a meno di 10 lavoratori, dai 30 attuali. Non sfugge nemmeno la pianura a nord di Bologna, con la sede distaccata di San Giorgio di Piano che sarà chiusa e i 25 tecnici trasferiti a Castenaso. Come se non bastasse si rincorrono le voci di nuove promozioni dirigenziali all’interno dell’azienda. Fonti interne annunciano entro fine anno 7 o 8 nuove nomine dirigenziali nel ramo commerciale, amministrativo e negli enti centrali. Se si considera che la società ha appena deciso di semplificare la propria organizzazione, c’è in molti la paura che le nomine andranno a pesare sul già sovradimensionato esercito di 132 dirigenti.