La scorsa settimana il primo ministro britannico David Cameron è andato nella penisola araba per una visita di Stato. Durante il viaggio nell’area del Golfo Persico, Cameron ha visitato gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita per parlare di sicurezza nel Medio Oriente e intensificare il rapporto d’alleanza tra i britannici e i due paesi arabi.
Un altro obiettivo del primo ministro era anche quello di assicurare che il Regno Unito ottenesse un contratto per garantire la fornitura di materiale bellico a queste nazioni, in particolare la vendita di circa un centinaio di Thypoon jet prodotti dalla BEA System agli Emirati Arabi Uniti. Cameron è stato accusato d’essere un rappresentante dell’industria bellica britannica e la sua intervista al Daily Telegraph ha scatenato aspre polemiche perché ha definito questo contratto “giusto e legittimo”.
La domanda che tutto il Regno Unito si è posta, è semplice e diretta. È giusto vendere armi agli stati che hanno una storia negativa in termine di difesa dei diritti umani? I primi a puntare il dito contro il primo ministro sono stati le organizzazioni non governative e in particolare Amnesty International UK. In un comunicato stampa rilasciato nel sito internet Amnesty ha affermato che la vendita di armi a paesi come l’Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti deve essere considerata solo se è garantito il totale rispetto dei diritti umani.
Henry McLaughlin, della ONG “Campaign Against Arms Trade” ha duramente dichiarato che il primo ministro afferma di voler dare una mano a portare democrazia in questa regione, ma poi vende armi agli stati autoritari presenti in quest’area.
Le polemiche non sono mancate neanche a Westminster. La più dura è stata Caroline Lucas, parlamentare dei Verdi, che ha detto questo contratto garantirà “dirty money” allo stato. La Lucas ha inoltre aggiunto che “purtroppo, il Regno Unito ha una vergognosa storia riguardo alla vendita di armi e materiale bellico a regimi come quelli dell’Arabia Saudita, Bahrein e Libia – ora non possiamo pretendere di essere dalla parte della pace e della democrazia, mentre il nostro Presidente del Consiglio si comporta come un rappresentante dell’industria bellica”.
Da Downing Street è partita una decisa difesa sul perché questa visita è positiva. L’ufficio del primo ministro ha dichiarato che questa industria produce £5.4 miliardi all’anno e circa 52.000 persone dipendono da essa. Insomma, la visita di Cameron garantirebbe allo stato di intascare soldi essenziali per l’economia nazionale e garantirebbe lavoro a migliaia di britannici.
Una scusa che non convince molto perché altre industrie che sono in ginocchio a causa della crisi, come quella mineraria per esempio, non sembrano ricevere lo stesso trattamento e i dipendenti vengono tranquillamente lasciati a casa senza lavoro e senza futuro.
Insomma, per Cameron si tratta di un altro problema dai cui deve difendersi. Se in un prossimo futuro qualcosa dovesse accadere questi stati alleati, come già è avvenuto in Libia o Siria, tutti saranno pronti a puntare il dito contro il leader conservatore. In un periodo in cui il primo ministro si trova con le spalle al muro, attaccato da ambo i lati dai laburisti e dai liberal-democratici con i ribelli conservatori, questa patata bollente potrebbe rivelarsi in futuro come una scusa in più per chiedere pubblicamente le dimissioni dell’onorevole Cameron.
di Cristian Sacchetti, studente alla University of Westminster e giornalista freelance