La crescita dell’economia globale continuerà a rallentare facendo registrare un ritmo di espansione non superiore al 3% nel corso del 2013 dopo il 3,2 che caratterizza l’anno in corso e il 3,8 del 2011. Ma le preoccupazioni maggiori riguardano soprattutto il prossimo decennio quando le economie avanzate confermeranno il trend attuale e il mondo dovrà fare i conti con la brusca frenata dei mercati emergenti, destinati a far segnare ritmi di crescita sostanzialmente modesti. Sono le conclusioni raggiunte dai ricercatori dello Us Conference Board, uno dei principali centri di ricerca economica degli Stati Uniti, nel rapporto Global Economic Outlook 2013 pubblicato in questi giorni. “L’incertezza nelle diverse aree – ha spiegato Bart van Ark, chief economist del Conference Board in riferimento al “fiscal cliff” americano (la versione Usa dell’austerity), al cambio di leadership cinese e alle riforme Ue – continuerà ad avere un impatto su scala globale su una crescita fiacca e sui timidi investimenti stranieri diretti”.

Le cifre, tanto per cambiare, parlano da sole. Nelle economie avanzate la crescita 2013 raggiungerà l’1,3% contro l’1,2% di quest’anno. Negli Usa per altro, si assisterà a un rallentamento con un +1,8% nel corso del prossimo anno contro il +2,1% del 2012. Alla lieve risalita complessiva contribuirà la timida ripresa europea con l’area euro destinata a crescere dello 0,2% dopo la recessione del 2012 (meno 0,6%). Ma i segnali di ripresa dell’Europa non rappresentano alcuna svolta significativa. Sono infatti modestissime le prospettive dei prossimi anni, con un tasso di crescita annuale medio dell’Eurozona che non dovrebbe superare l’1,1% nel medio periodo (2013-2025) con percentuale compresa tra l’1,4 dello scenario più ottimistico e lo 0,8 dell’ipotesi peggiore. Nello stesso periodo, gli Usa dovrebbero rallentare dal tasso medio del 2,3% del 2013-18 al 2% del 2019-25. Il Giappone registrerà rispettivamente un +1,1 e un successivo +0,9. 

Il problema, di fatto, è che l’Europa non sembra ancora guarita dalle ferite della crisi e la necessità di metabolizzare le politiche di austerity (per altro assai discutibili ma questo è un altro discorso) sembra fare il resto. Secondo il responsabile della sezione Europa del Conference Board, Bert Colijn, citato dal Daily Telegraph, la Spagna registrerà una discreta ripresa (+1,8% medio annuale) nel prossimo decennio mentre nei prossimi cinque anni la Germania farà decisamente meglio di Italia e Francia per le quali il futuro appare meno brillante. In queste condizioni, nota Ambrose Evans-Pritchard, uno dei principali opinionisti del quotidiano britannico, “è difficile pensare a come il Club Med (sic) possa evitare di affogare in uno scenario così cupo o possa riuscire a fermare una rivolta politica che sta raggiungendo il suo punto di ebollizione”.

Ma l’aspetto più preoccupante su scala mondiale, in realtà, è un altro. Nel corso dei prossimi anni a registrare il rallentamento più significativo saranno coloro che negli ultimi sono stati i veri protagonisti della crescita: i mercati emergenti. Nel 2013, le nuove economie cresceranno in media del 4,7% contro il 5,5% di quest’anno. Tra il 2019 e il 2025, il loro tasso medio di crescita scenderà al 3,3. Secondo van Ark “il lungo rallentamento ipotizzato fino al 2025 sarà determinato in larga parte dalle trasformazioni strutturali nelle economie emergenti. Quando Cina, Brasile e India, tra gli altri, passeranno da un modello di rapida crescita con alta intensità di investimenti ad un sistema più equilibrato, i naturali “limiti di velocità” delle loro economie dovrebbero abbassarsi riducendo così la crescita globale nonostante la prevista ripresa dopo il 2013 delle economie avanzate”.

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